C’è di che preoccuparsi per quel che sta accadendo in Europa sull’aborto. I fatti di questi giorni: tra una scia di polemiche, non è stata accolta dal Parlamento europeo la mozione della deputata socialista portoghese Estrela sui diritti sessuali e riproduttivi, tra cui l’aborto; in Spagna il governo Rajoy presenta al Parlamento una legge drasticamente limitativa delle possibilità di abortire, anteponendo il diritto del concepito alla libertà e alla salute della donna.
I commenti dominanti, come si può facilmente immaginare, da una parte puntano il dito contro un’ondata reazionaria che sta attraversando l’Europa, mentre dall’altra inneggiano alla restaurazione di principi etici. Si profila un nuovo capitolo di una guerra tra «laici» e «cattolici» di cui vorremmo fare a meno. Non c’è dubbio che sia in atto una reazione di una parte larga della popolazione europea, e il rischio da evitare è che la autodeterminazione delle donne resti schiacciata nello scontro tra «liberal-progressisti» e «conservatori-reazionari». Bisogna che ci riprendiamo pienamente la parola, meglio le nostre parole, se non vogliamo che la libertà di scelta delle donne – conquista di civiltà irrinunciabile – venga insidiata dal conflitto tra diritti.
Cos’è che non va nella mozione Estrela, al di là di singoli aspetti discutibili? È la definizione, la classificazione stessa dell’aborto. Viene collocato tra «i diritti sessuali e riproduttivi» che a loro volta sono considerati diritti umani individuali. Così l’aborto si configura come un diritto umano soggettivo. Vale a dire che il potere generativo proprio del corpo femminile si traduce in un diritto individuale di vita o di morte da esercitare nella più totale autonomia. Essen- do catalogato tra i diritti umani non sorprende che ne siano pienamente titolari tutte le donne dal momento in cui diventano capaci di procreare, quindi anche le adolescenti. La maternità a sua volta diventa un diritto individuale, non più effetto e principio di relazioni fondamentali per la socialità umana, e per logica conseguenza nella mozione si chiede di garantire individualmente il diritto alle scelte riproduttive e alla procreazione assistita. Nella legge 194, che vogliamo difendere in ogni sua parte contro i vari tentativi di boicottaggio, non si fa menzione di alcun «diritto» all’aborto, si parla invece di «autodeterminazione», proprio perché la grammatica dei diritti risultò, innanzitutto alle legislatrici che vi lavorarono, fuorviante, inadeguata ad esprimere il nesso indissolubile di libertà e responsabilità compreso nella mente-corpo femminile. Ricorrendo al concetto del tutto nuovo di autodeterminazione fu possibile affermare la libertà femminile senza cadere nella rivendicazione di un diritto individuale all’aborto che avrebbe attivato un corrispondente diritto del concepito, in para- dossale conflitto con la madre. Sono persuasa che la 194 venga considerata una delle migliori leggi al mondo in materia di interruzione volontaria di gravidanza proprio per- ché fa perno sul principio di autodeterminazione, su un principio che manifesta l’irriducibile distanza della libertà femminile dal diritto dell’individuo neutro.
Ora a quasi 40 anni dalla sua approvazione, invece di sviluppare le implicazioni di quel principio, pare che la frontiera più avanzata su cui attestare la libertà delle donne sia quella di esprimere la propria differenza in termini di «diritti sessuali e riproduttivi». Ma questi termini non solo riducono la potenza femminile – che include in sé la relazione con l’altro – a mera richiesta di diritti, ma aprono anche la strada alle operazioni più esplicitamente reazionarie, misogine e punitive come quella del governo Rajoy, che cerca di colpire la libertà femminile brandendo l’arma del diritto del concepito. Opponiamoci con forza a questo attacco in nome dell’autodeterminazione delle donne, va- le a dire in nome della loro libertà e della loro responsabilità verso l’altro.
L’Unità 23.12.13