Oggi è il metodo Stamina, ieri era la cura Di Bella, settant’anni fa il siero di Bonifacio. Ma anche il veleno dello scorpione cubano o il bicarbonato in vena per sconfiggere il cancro. In mezzo feroci battaglie giudiziarie, processi, manifestazioni, un grande dolore e un’infinità di lutti. L’umanissimo desiderio di guarire, l’algida freddezza (spesso) della medicina ufficiale, e il mercato della speranza, che di volta in volta assume le forme del business spregiudicato, della missione caritatevole, o della semplice e pura illusione. C’è tutto questo dietro la triste battaglia pro e contro il metodo Stamina, qualcosa che in Italia è già accaduto, con i malati in piazza, la comunità scientifica scettica, i tribunali che impongono agli ospedali di non sospendere le cure. Un’anomalia, una contraddizione, che assume la forma estrema dei pazienti che si strappano i respiratori davanti ai palazzi del potere e si tolgono il sangue per gettarlo in faccia ai politici. E i genitori di bimbi malati che dichiarano di essere pronti a tutto, pur di vedere qualche piccolo miglioramento nei loro figli già condannati da malattie neurodegenerative, come la leucodistrofia, o la Sma, l’atrofia muscolare spinale. Celeste, Sofia, Chantal, Noemi. Impossibile non comprendere il dramma umano. Eppure i dati scientifici sulla “cura” inventata da Davide Vannoni bocciano senza appello il metodo Stamina, anzi ne sottolineano tutta la pericolosità. Ma i pazienti non mollano: «Mia figlia sta meglio, questo conta, sono un genitore, come potrei non volere il suo bene?».
Muro contro muro. Di qua la Scienza, quella ufficiale, di là le famiglie, il dolore. Un confine all’interno del quale prosperano guaritori e venditori di illusioni. E il ruolo, particolare, dei tribunali amministrativi, che possono ordinare il ripristino di cure e terapie pur contro il parere dei medici. Bisogna provare a capire. Ascoltare la sofferenza. Perché, spiega lo psichiatra Luigi Cancrini, «la medicina ha ormai raggiunto livelli altissimi nella battaglia alle malattie, ma ha via via perso la capacità di stare con le persone, di comunicare la diagnosi, di accompagnarle nel dolore ». Di fronte alla durezza e alla freddezza dell’istituzione, aggiunge Cancrini, «chiunque offra una possibilità, anche se non suffragata da prove, viene visto come una luce, si creano gruppi, movimenti che si alimentano di quella speranza, è un po’ come andare a Lourdes o a Medjugorie». E se la medicina ha ormai dimenticato la persona, gli altri, quelli fuori dalle istituzioni, missionari per alcuni, stregoni per altri, fanno il contrario, ricorda Cancrini, «abbandonano la malattia e si occupano della persona».
Stamina, la cura Hamer, il metodo Simoncini, la contraddittoria terapia Di Bella. Salvo Di Grazia di professione fa il medico, e come secondo lavoro il “cacciatore di false illusioni scientifiche”. Nel suo sito “Medbunker”, da anni raccoglie prove e testimonianze sulle presunte cure miracolose che di volta in volta catalizzano cuori e anime dei malati. «Non è un caso che questo tipo di terapie nascano per patologie che la scienza ufficiale ritiene ancora incurabili, il cancro, le malattie neurodegenerative. Oggi ci occupiamo di Stamina, ma in Italia ci sono centinaia di persone ammalate di tumore che abbandonano le cure e seguono ad esempio il metodo di Rike Geerd Hamer, il quale afferma che il cancro altro non è che un trauma, e basta risalire a quel trauma per guarire. Decine di persone che si sarebbero potute salvare sono morte così, senza nemmeno le cure palliative…».
Ma Salvo Di Grazia ricorda anche il tragico caso di Luca Olivotto, un giovane di 27 anni affetto da un tumore al cervello, morto esattamente un anno fa fra atroci sofferenze, dopo essersi sottoposto in Albania alla cura di bicarbonato per endovena inventata da Tullio Simonicini, oncologo radiato dall’Ordine dei medici. «Ho enorme rispetto per ciò che dicono i pazienti, come i genitori dei bambini trattati con il metodo Stamina i quali affermano che i loro figli hanno avuto dei miglioramenti. Come non credere ad una madre o ad un padre? E non penso nemmeno che le famose infusioni siano contaminate o infette: ciò che però vorrei sapere è perché Vannoni non mostra veramente i passaggi del suo metodo, perché rifiuta un confronto scientifico reale… Se le sue staminali funzionano, perché tanto segreto?».
Nel muro contro muro, infatti, alla fine chi decide è la giustizia. Ma può un Tar imporre qualcosa che la scienza non ha sperimentato fino in fondo? «Infatti siamo di fronte ad un paradosso», commenta
Filomena Gallo, avvocato e vicepresidente dell’Associazione Luca Coscioni. «Noi siamo sempre stati per la libertà di cura, e proprio per questo chiediamo che le infusioni vengano bloccate
fino a quando Vannoni non renderà pubblico il suo metodo. Esperti di tutto il mondo ne hanno messo in dubbio la validità, allora intervenga la politica a fermarlo, se non verrà dimostrato che la cura è sicura. Come possiamo lasciare che a decidere se applicare Stamina ad un bambino — si chiede Filomena Gallo — sia il giudice di un tribunale ammini-strativo, e non un medico?».
Un gioco di paradossi. Ma dove sotto accusa finiscono ospedali e istituzioni, una sanità sempre più distante dai malati e dalle famiglie, un mondo dove l’handicap è spesso soltanto una tragedia privata, che non trova ascolto né sostegno. E Big Pharma con i suoi giochi opachi di interessi e denaro. Eppure in questa battaglia non ci sono solo i pazienti pro Stamina. Ci sono anche, e sul fronte opposto, i genitori dei bimbi affetti da “Sma”, l’atrofia muscolare spinale, che dalle promesse di Vannoni si sono sentiti offesi. Daniela Lauro è la presidente di “Famiglie Sma Onlus”, ed è anche la mamma di un bambino “Sma” che non c’è più. «Noi vogliamo certezze non illusioni. I bambini trattati con Stamina hanno respiratori e ausili per l’alimentazione esattamente come i nostri, che vengono curati attraverso la ricerca di Telethon, attraverso studi trasparenti fatti di prove ed evidenze scientifiche. Dov’è il miglioramento della cura Vannoni se quei bimbi stanno come tutti gli altri? Magari si fosse trovata una terapia. Ci sentiamo feriti perché per aver chiesto dati certi su Stamina siamo stati trattati come genitori che non vogliono curare i loro figli… ».
«Ministro Lorenzin, venga a vedere come sta Sofia, non spezzi il suo futuro», ha detto pochi giorni fa una delle mamme in prima linea per il metodo Vannoni, Caterina Ceccuti, che da sempre dichiara i miglioramenti della sua piccola affetta da leucodistrofia metacromatica. Il 28 dicembre, subito dopo Natale, pazienti e genitori dei bambini in cura agli Spedali riuniti di Brescia si daranno appuntamento a Roma per mostrare le loro cartelle cliniche, i certificati che attestano i miglioramenti dei loro cari in trattamento con le infusioni di Stamina.
Daniela Lauro è scettica: «Perché soltanto adesso tirano fuori le cartelle cliniche? Perché non le hanno consegnate agli esperti del ministero? Che senso ha mostrarle in piazza?».
Dice ancora Luigi Cancrini, neuropsichiatra di lungo corso: «Entrare in questa dimensione del dolore è arduo, difficile, ma il medico non si può sottrarre. Invece è quello che accade nei nostri ospedali. Ci vuole una rieducazione psicologica di chi fa il medico, il cui compito è anche sostenere il paziente nella sofferenza».
La Repubblica 23.12.13
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“SE LA SCIENZA È SENZA CUORE SI FANNO LARGO I FALSI PROFETI”, di GIORGIO COSMACINI
Medicina e ciarlataneria sono territori spesso contigui; talvolta càpita che l’una sconfini nell’altra. La medicina è basata su modalità comunicative utilizzate anche dalla ciarlataneria: essa, infatti, si fonda sul dialogo, sullo scambio verbale, su una efficiente ed efficace modalità applicativa di quella che oggi viene chiamata “scienza della comunicazione”. Tale applicazione al rapporto interpersonale consta di parole trasmettitrici di competenza e motivate da disponibilità; ma talora càpita che tali parole siano chiacchiere o ciarle.
Tre esempi storici, con varie sfumature, possono essere significativi al riguardo. Il grande malato non immaginario Molière, divorato dalla tisi, al Re Sole che gli domandava:
«Che cosa vi consiglia il vostro medico?» rispondeva riassumendo la relazione interumana tra medico e paziente in due sole parole: «Sire, chiacchieriamo». Il re di Spagna Filippo IV, volendo distinguere tra scienza vera (teologia) e scienza fittizia (medicina), annotava in margine a un suo documento, conservato nell’archivio storico di Simancas, questa frase: «Parlar di scienza è ciarlare».
Il medico Jean Paul Marat, prima d’essere (con Danton e Robespierre) il padre trinitario della rivoluzione francese, pubblicò sul proprio giornale, L’ami du peuple, dodici lettere intitolate Les charlatans modernes e dirette contro il “ciarlatanismo accademico”. A proposito di ciarlatanismo medico, ha scritto Roberto Satolli (“La salute consapevole”, Bari 1990, p.300): “Chissà se qualche lettore non faccia una divertente scoperta, trovando tracce o dosi consistenti di ciarlataneria anche in personaggi insospettabili, come medici famosi, primari d’ospedale e direttori d’istituto?”.
Sull’annosa questione del possibile intreccio fra ciarlataneria e medicina (o della ciarlataneria in medicina) si fece carico fin dal 1910, anno della sua fondazione su scala nazionale, l’Ordine dei medici. Ponendosi anzitutto quale coscienza sanitaria della nazione, l’Ordine neofondato aveva tra i suoi fini la lotta senza quartiere all’abusivismo e alla ciarlataneria, ovviamente al di fuori dei propri ranghi. Tale finalità ha conosciuto fino ad oggi, nell’arco di un secolo, alti e bassi, venendo a confrontarsi anche con fatti non esterni, ma interni alla categoria: negli anni Cinquanta il caso Bonifacio, negli anni Sessanta il caso Vieri, negli anni Novanta il caso Di Bella. Quest’ultimo caso è esploso nel 1997. Il professore Luigi Di Bella, già docente di fisiologia nelle Università di Parma e di Modena, non era il primo venuto: sapeva di scienza e tuttavia sottraeva la propria “multiterapia del cancro”, a base di somatostatina, alla regola aurea che esige per ogni trattamento medico il vaglio preliminare di una rigorosa sperimentazione scientifica e l’osservanza ineludibile del principio di precauzione.
La Cuf (Commissione unica per i farmaci) confermò che la “cura Di Bella” non aveva né credibilità scientifica, né utilità pratica. Tanto bastò per far scattare in molti incauti o sprovveduti opinionisti, e in larga parte dell’opinione pubblica, assalita da notizie condite d’imprecisione e d’iperemotività, il sospetto di una persecuzione di casta da parte della medicina ufficiale nei confronti dell’anziano guaritore — un omino mite per molti un sant’uomo — che prometteva ai malati di guarirli del loro male inguaribile. In più, la questione assunse una coloritura politica, partitica. Si assistette a una ondata emotiva cavalcata da destra a favore, in nome di una presunta “libertà di cura” e di un malinteso “diritto alla vita”, e da sinistra a sfavore, in nome della “responsabilità dei medici” e del loro rifiuto di ogni “ricatto verso i pazienti”.
Il disorientamento della classe medica, assillata da pazienti e da loro familiari in trepidante attesa, era grande e non mancavano autorevoli esponenti di gran nome che invece di dire parole chiare e distinte si barcamenavano in chiacchiere e in ciarle. A commento di tutto ciò, le riviste medicoscientifiche internazionali Lancet e Nature parlavano senza mezzi termini di “commedia all’italiana”. Personalmente ricordo che fra i non pochi commedianti, giunse a fare chiarezza la voce dell’allora neo-eletto presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Aldo Pagni, portatore di una ritrovata vocazione ordinistica contro i guaritori con laurea atteggiati a profeti osteggiati e contro i medici atteggiati a soloni ma incapaci di una presa di posizione veramente scientifica e umana.
Per riuscire vittoriosa sulla ciarlataneria contemporanea, la medicina deve ritrovare rapporti di cura più affabili e modi di azione più affidabili. Il ciarlatano o sedicente guaritore non profitta soltanto della credulità e fragilità altrui; profitta anche della ragione saccente e della scienza distante. Fin che queste troveranno cittadinanza, la ciarlataneria, in medicina, vivrà.
(L’autore è uno storico della scienza, docente a contratto all’università San Raffaele)
La Repubblica 23.12.13
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