Già 700mila i giocatori patologici stimati mentre il business di slot, Bingo e poker on line cresce in modo esponenziale. Un affare da 80 miliardi di euro sul quale ha messo le mani anche la malavita organizzata. A curare le ludopatie i presidi sanitari pubblici. «Sono dipendenti senza sostanza, una battaglia impari»
«Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti tanto dalla roulette mi sembra ancora più ridicola l’opinione comune accettata da tutti che è assurdo e stupido aspettarsi qualcosa dal gioco. Perche ́ il gioco dovrebbe essere peggiore di qualsiasi altro mezzo per far quattrini?». Così nel 1866 Fëdor Dostoevskij ne Il giocatore, libro mirabile, scritto proprio per pagare i debiti di gioco collezionati dall’autore. La sindrome di cui soffriva anche il romanziere ora ha un nome scientifico: Gap, ovvero gioco d’azzardo patologico. Mercoledì in Russia verranno chiusi tutti i casinò e le sale giochi. Da noi, invece, continuano a moltiplicarsi. Quasi 3 milioni gli italiani a rischio, 700mila stimati come dipendenti. Siamo, d’altraparte, il Paese d’Europa con il più grande mercato «ludico». Le cifre diffuse dal Dipartimento Politiche Antidroga indicano che in Italia, in sette anni, il settore ha registrato un aumento di affari del 450% passando da 22 miliardi di euro nel 2004 agli 80 miliardi del 2011. Giocano tutti: uomini, donne, pensionati, ragazzini, disoccupati. Anzi, la crisi economica ha incentivato addirittura la diffusione di roulette, slot, Grattaevinci, poker on line. E naturalmente, fiutato l’affare, anche la malavita organizzata ha voluto mettere le mani nel grande business, la tassa occulta che gli italiani pagano senza battere ciglio. Sul tema è in atto anche una battaglia politica: proprio mercoledì è stato votato in Senato un emendamento proposto dal Ncd, sostenuto da un pezzo del Pd e da Scelta Civica, che consente al governo di ridurre il trasferimento alle Regioni e agli enti locali che emanano norme restrittive contro il gioco d’azzardo. Renzi ha parlato di «una porcata», il governatore del Lazio Zingaretti è furibondo: «Siamo stati tra i primi a combattere le ludopatie e le mafie che spesso si nascondono dietro questo affare. Non abbiamo alcuna intenzione di fermarci». Anche la Caritas chiede un ripensamento. La questione è complessa, certo. Ma Alfio Lucchini, ex presidente della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze (FederSerD), non ha dubbi: «Se non si fanno leggi o interventi seri tra cinque anni dovremo prepararci a gestire una vera e propria emergenza. Senza contare che quello che facciamo nelle strutture pubbliche è del tutto privo di fondi. Semplicemente per poterci occupare di Gap rubiamo tempo alle altre dipendenze». E non è un gioco affrontare i malati d’az zardo. Psichiatri, psicologi, medici e assistenti che combattono il problema sul territorio per conto delle Asl sono pochi e con pochi mezzi.
Parliamo di una dipendenza senza sostanze ma dagli effetti devastanti. Chi gioca quasi sempre dilapida conto in banca e affetti: famiglie distrutte, lavoro perso, giri illegali fino al capestro dell’usura. Una patologia che colpisce tutte le classi sociali. Rolando De Luca, responsabile del Centro di terapia di Campoformido (Udine), va giù duro: «È grave che sia lo Stato a fare cassa, nascondendosi poi dietro al più classico dei “non esagerare”: «L’istituzione ha dato il “la” al consumo di massa, e che cosa fa per difendere i cittadini? Inserisce l’azzardo patologico nei livelli di essenziali di assistenza, senza però destinare un euro in più». De Luca ha creato l’Agita, associa-ione degli ex Giocatori d’Azzardo e delle loro famiglie, gestisce dieci gruppi di terapia alla settimana, ha messo su un sito, racconta la disperazione dei malati che non si sentono malati e vanno incontro alla rovina senza alcuna consapevolezza.
Funziona proprio come per l’eroina, la coca, l’alcol. «Un processo di desensibilizzazione dell’organismo che è costretto ad aumentare le dosi per provare le stesse sensazioni». Così il giocatore scommette sempre di più, e più alza la posta, più allontana l’immagine negativa e per- dente di se stesso. Vive in una realtà parallela, inventa bugie per giustificarsi come fanno i tossicodipendenti. Quando ne ha coscienza è in gene- re molto tardi: la patologia si è già cronicizzata. Uscirne è difficile, anche per l’offerta sempre più aggressiva di giochi fuori e dentro casa, ma si può. Lo racconta in un documentario il regista palermitano Francesco Russo. Si intitola Zero- per. Rimettersi in gioco. Titolo quanto mai significativo e, in fondo, pieno di speranze.
L’Unità 21.12.13