Questo è un racconto di Natale della politica. Ci voleva, in fondo a un altro anno di storiacce e scandali. Sembrava impossibile a molti e ancor di più ai sei architetti di trent’anni, tre donne e tre uomini, che da oggi e per un anno potranno lavorare a rendere più belle le periferie grazie allo stipendio da senatore a vita di Renzo Piano. Con tanti cari saluti agli eroi dell’antipolitica a Cinque Stelle che, dopo aver menato vanto di una riduzione dello stipendio del dieci per cento, avevano polemizzato a lungo contro la scelta di «buttare via soldi pubblici per dare un vitalizio ad altri senatori a vita».
Li abbiamo incontrati ieri gli eletti, nello studio dell’architetto a Genova. Avevano le facce di bambini convocati nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. Ecco l’elenco: Francesco Giuliano Corbia, 29 anni, di Alghero, laurea a Firenze e master a Barcellona in urbanistica; Eloisa Susanna, 32 anni, Cosenza, laureata alla Sapienza e collaborazione nello studio di Massimiliano Fuksas; Michele Bondanelli, 38 anni, Argenta (Ferrara), studi a Venezia e specializzato nel restauro di centri storici; Federica Ravazzi, 29 anni, Alessandria, esperta in progettazione di scuole; Francesco Lorenzi, 29 anni, romano, laureato alla Sapienza, con esperienze in Spagna, Argentina e Polonia; Roberta Pastore, 32 anni, di Salerno, laureata a Napoli e ora impegnata nel nuovo auditorium di Salerno.
Sei magnifici giovani italiani di talento, quasi tutti con la valigia pronta per tornare all’estero, dove hanno già studiato e lavorato. Finché non è arrivato questo strano bando anonimo su Internet «per un progetto sulle carceri», senza la firma di Piano, per evitare troppa pubblicità. «Non mi aspettavo davvero di finire qui oggi», dice Roberta, «era soltanto uno dei cento curriculum che mandi in automatico e in genere rimangono senza risposta». «O ancora peggio – aggiunge Francesco – che ottengono soltanto proposte indecenti di sfruttamento selvaggio per progetti orrendi. Quando una domenica sera ha telefonato lo studio Piano per fissare l’incontro ho pensato come tutti a uno scherzo». Era invece l’occasione che ti cambia la vita e forse anche il futuro di un pezzo di Paese. Perché i lavori dei sei giovani (coordinati da tre tutor, l’ingegnere Maurizio Milan e gli architetti Mario Cucinella e Massimo Alvisi) diventeranno proposte di legge, materiale per interrogazioni parlamentari, magari
progetti concreti per le disastrate periferie di Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova.
L’idea era maturata in Renzo Piano un’ora dopo la telefonata del 30 agosto nella quale il presidente Napolitano gli annunciava la nomina. «Era l’occasione per completare un percorso», dice Piano, «prima la nomina ad ambasciatore dell’Unesco per le periferie, poi la Fondazione, dove ogni anno accogliamo decine di giovani architetti da tutto il mondo. È anche un modo per dare un segnale di controtendenza a una generazione d’italiani ricchi di qualità, ma ormai rassegnati a non vedere riconosciuti i propri meriti. Ormai l’Italia è l’unico paese d’Europa dove i concorsi, quelli veri, non si fanno più. Qui nessuno ha avuto bisogno di conoscere nessuno, di farsi raccomandare, sono stati selezionati fra oltre seicento candidati e quasi tutti con curriculum notevolissimi » .
Il rapporto fra città e periferia è l’argomento della vita per
Piano. «Fin dalla nascita, sono nato a Pegli, periferia occidentale di Genova. Da studente sessantottino a Milano andavo rigorosamente in periferia per fare politica e anche per divertirmi, ad ascoltare
il jazz al Capolinea, in fondo ai Navigli. E in fondo anche oggi i miei progetti più importanti sono la riqualificazione di ghetti o periferie urbane, dall’università di New York ad Harlem, al nuovo palazzo di giustizia di Parigi nella banlieue ». Senza contare la concorrenza. Nei centri storici italiani hanno lavorato Michelangelo, Bernini, Brunelleschi, Filarete e così via, piuttosto bene. «Appunto, quella bellezza non è merito nostro, ce l’hanno lasciata in eredità. E per fortuna abbiamo smesso di distruggerla negli anni Settanta. Il nostro compito è lasciare a chi viene belle periferie. Le cose da fare sono tante e meravigliose, se soltanto ci fosse la volontà politica. Si potrebbero ridurre in pochi anni i consumi energetici degli edifici del 70-80 per cento, consolidare le 60mila scuole a rischio sparse per l’Italia, rivoluzionare e rendere sostenibile il trasporto pubblico, fecondare le periferie con migliaia di luoghi d’incontro come piazze, mercati, ma anche auditorium, musei, palazzi pubblici. Non è possibile che l’unico luogo d’incontro delle periferie siano i centri commerciali. Sono tutti interventi che creerebbero lavoro, ricchezza, risparmio. E proietterebbero l’Italia all’avanguardia della green economy mondiale».
È un libro dei sogni che da oggi sei giovani architetti italiani proveranno a tradurre in materiale concreto di lavoro per una nuova politica. L’anno prossimo il progetto si rinnoverà con altri sei e così ogni anno. Per questo e molto altro, lunga vita a Renzo Piano.
La Repubblica 20.12.13