La riforma elettorale è necessaria. E non può che nascere da un compromesso. Ma non tutti i compromessi sono equivalenti. Dalla qualità della mediazione dipende l’efficacia del sistema democratico. Bisogna scegliere una rotta nel negoziato. E non dimenticare le ragioni che hanno portato al fallimento di questa cosiddetta seconda Repubblica. Una di queste ragioni è il maggioritario di coalizione: anomalia assoluta del nostro sistema, principio sconosciuto a qualunque Paese occidentale, causa non secondaria del collasso politico.
Il maggioritario di coalizione – entrato nel sistema piegando il Mattarellum, e poi ossificato dall’abnorme premio del Porcellum – ha anzitutto imbrogliato gli elettori. Aveva promesso loro di renderli arbitri delle alleanze di governo, invece li ha derubati. Le liste coalizzate hanno incassato il premio in seggi e, una volta spartito il bottino, si sono separate. Il trasformismo è cresciuto a dismisura, con centinaia di parlamentari che nel corso di una legislatura passano da un gruppo
all’altro. Il maggioritario di coalizione doveva essere la garanzia della stabilità e il nostro «presidenzialismo» all’amatriciana: è diventato invece la garanzia dell’instabilità. E anche una causa della destrutturazione dei partiti. Invece di presentare un proprio programma e una propria classe dirigente, da noi i partiti impiegano il tempo per comporre coalizioni ingannevoli, per ripartirsi aree sociali di influenza, e ogni singola componente chiede il voto per sé in quanto distinta e diversa dai propri alleati.
È decente immaginare un’altra legge con questi difetti del Porcellum? È sensata una riforma che spinga Alfano ad allearsi ancora con Berlusconi, magari per ridividersi il giorno dopo le elezioni? È decoroso un centrosinistra che si propone di riprodurre quella coalizione Pd-Sel, che ha appena preso il premio in seggi più grande della storia repubblicana e non è rimasto insieme neppure un giorno della legislatura?
Ovviamente ha ragione chi dice che gli elettori devono conoscere prima del voto le alleanze eventuali dei partiti. Ma, in tutta evidenza, il premio di maggioranza non dice la verità agli elettori. Forse, investendo su partiti più grandi (e su meccanismi di trasparenza), si può ottenere una maggiore linearità.
In ogni caso, dire no al maggioritario di coalizione non vuol dire affatto rassegnarsi alla frammentazione della legge proporzionale. Si può, anzi si deve costruire un sistema maggioritario che abbia qualche parentela con l’Europa. La condizione minima è che alle elezioni si presentino i partiti, e non coalizioni inevitabilmente finte. Se invece si volesse affidare al suffragio universale la scelta del capo del governo, allora andrebbe cambiata la Costituzione in senso presidenziale e sarebbe intollerabile usare il sotterfugio del Porcellum.
Il sistema parlamentare può essere rafforzato da una legge elettorale maggioritaria, che favorisca governi efficaci e responsabili. Ma vanno appunto premiati i partiti più grandi, non il valore marginale dei partiti più piccoli. Speriamo che la vocazione maggioritaria di Renzi non sia dilaniata nella trattativa. Due sembrano le ipotesi in campo: una riedizione aggiornata del Mattarellum oppure un doppio turno con voto di lista. In entrambi i casi, il compromesso può portare a un ritorno nella gabbia della seconda Repubblica oppure a una liberazione. Il Mattarellum – sistema misto, in parte collegi uninominali-maggioritari, in parte competizione tra liste – può rigettarci nelle coalizioni preventive e fasulle se viene confermato il doppio voto. Se, invece, il voto diventasse unico, i partiti non potrebbero più scambiare collegi con voti di lista. Dovrebbero scalare il governo con la loro proposta e i loro uomini. Gli alleati minori, se davvero omogenei, verrebbero incoraggiati a confluire nella medesima lista, rendendo così il partito più forte e potenzialmente più capace di una disciplina interna.
È vero che il Mattarellum non assicura la maggioranza assoluta dei seggi. Ma nessuna legge elettorale al mondo garantisce di per sé la maggioranza dei seggi. Più che invocare il bipolarismo come se fosse una fede religiosa, è più utile ai fini della governabilità affidare alla sola Camera il voto di fiducia e introdurre la sfiducia costruttiva. Comunque, un sistema misto (con almeno il 50% di collegi maggioritari, senza scorporo e con uno sbarramento non aggirabile) può dare una maggioranza di seggi, anche in una competizione tripolare, se uno dei tre partiti maggiori distacca gli altri di più di 5-7 punti. Se poi una coalizione parlamentare fosse inevitabile, in un sistema così concepito si potrebbe almeno sperare che l’alleanza sia composta da due soli partiti e non da un variopinto guazzabuglio.
Anche il doppio turno può farci precipitare di nuovo nel passato, ammettendo al ballottaggio le prime due coalizioni. Il volto del sistema invece cambierebbe radicalmente se fossero ammesse le due liste più votate al primo turno. A quel punto, i partiti e i loro leader dovrebbero garantire l’omogeneità politica della lista. Ma la legge elettorale può aiutarli rafforzandoli.
L’Unità 20.12.13