Diciannove pagine del ministero dell’Istruzione seppelliscono le undici università telematiche italiane. Sei mesi di lavoro della commissione interna dedicata (due professori emeriti più il vicecapo di gabinetto), tre riunioni, diverse audizioni, i pareri del Cnsu (Consiglio degli studenti) e i dossier dell’Anvur (i valutatori). A fine ottobre la sentenza, attesa in verità: le università telematiche italiane hanno pochi (o più spesso nessuno) insegnanti a tempo indeterminato, hanno pochi studenti, pochi immatricolati e spesso un numero di lauree incongruo rispetto agli iscritti. A volte hanno problemi infrastrutturali. Chi non risolverà presto queste assenze, queste chiare mancanze, dovrà chiudere. «Pena l’estinzione dell’università stessa», aveva già scritto l’Anvur.
Dice ora il ministro Maria Chiara Carrozza, a sintesi del lavoro: «Basta alle deroghe per le telematiche. Devono avere regole certe come le università tradizionali, devono seguire criteri stringenti per l’accreditamento e il reclutamento del personale docente. Dobbiamo poter valutare, con gli stessi criteri validi per le università tradizionali, l’efficacia e l’efficienza dei corsi impartiti. Lo faremo nel prossimo piano triennale». Fino ad oggi i corsi sono stati valutati prima, mai dopo. Ancora il ministro Carrozza: «Le università telematiche devono aumentare il numero di docenti con contratto stabile, oggi ci sono troppi precari. Devono aumentare l’attività di ricerca, oggi piuttosto scarsa». O gli atenei Mooc si attrezzano o il Miur non le riconoscerà più.
Il numero degli studenti immatricolati negli atenei online italiani è stato in crescita dal 2004 al 2011, per iniziare poi una progressiva diminuzione anche nelle strutture più grandi: Marconi, Uninettuno e Unicusano. Stesso trend per i laureati: flessione dopo il 2011. La commissione ministeriale ha segnalato l’assenza di “criteri determinati e chiari” per la valutazione qualitativa del-l’offerta formativa, nessuna regola per l’istituzione delle scuole di dottorato e nessuna chiarezza nel passaggio di docenti e ricercatori alle università tradizionali. Le telematiche, si scopre, possono far partire l’anno accademico in qualunque momento della stagione. Organizzano esami e danno crediti “non idonei a garantire il raggiungimento delle previste competenze”. La Pegaso, aveva già scritto l’Anvur, “rischia di produrre titoli legali il cui contenuto non è comparabile con quello delle altre istituzioni universitarie”. Tutte le “online” non hanno, o hanno in maniera inadeguata, attività di laboratorio. Riassume la commissione: «I laureati delle università telematiche hanno una minore preparazione rispetto ai laureati delle università convenzionali».
È interessante segnalare come, nel corso del 2013, sette euniversity abbiano richiesto accrediti per 47 nuovi corsi di laurea (18 E-Campus, 7 Pegaso, 7 Unicusano, 7 Uninettuno, 5 Giustino Fortunato, 2 Mercatorum, 1 Benincasa). L’Anvur ha fatto passare solo i due corsi della Mercatorum. E-Campus, Pegaso e Unicusano hanno ottenuti i corsi in seconda istanza, a colpi di Tar e Consigli di Stato. Nell’ultimo rapporto l’Anvur aveva sottolineato — nel caso della romana Universitas mercatorum legata alle camere di commercio italiane e della Giustino Fortunato di Benevento — un conflitto d’interessi rispetto ai proprietari. La commissione ministeriale ha chiesto che “alcune tipologie di corsi” non siano impartibili a distanza: non tutto si può insegnare su Internet. «I finanziamenti pubblici saranno assegnati in ragione della qualità dell’attività didattica e dell’attività di ricerca», ha chiosato il ministro.
La Repubblica 18.12.13