Colpisce la nuova estetica fascista sfoggiata dalla destra italiana, tornata protagonista visibile nelle piazze del malcontento. Casa Pound, che dell’eterno fascismo nostrano è la versione più contemporanea, à la page,
ha rivestito come manichini anonimi e minacciosi i suoi militanti romani: giacche a vento scure col cappuccio sollevato, il volto coperto da una maschera tricolore, al collo una fune col nodo scorsoio; così si sono fatti immortalare in marcia fino alla sede della Commissione europea, per sottrarne la bandiera azzurra dell’Unione. Potessimo scherzarci, somigliavano maledettamente all’esercito di modelli in piumino schierati ieri da Moncler davanti alla Borsa di Milano per festeggiare la trionfale quotazione. Solo che i fascisti romani sul sito di Casapound diffondono messaggi come questo di Andrea Marin: «Bruciamo gli stracci blu esposti negli uffici pubblici in Italia e sostituiamoli col tricolore». Trasmettono la voce di Mussolini mixata a un rock metallico che inneggia alla «guerra civile», al sole di Spagna che «brilla sulle nostre camicie nere». E solo un paio di settimane fa hanno ricevuto con tutti gli onori una delegazione dei neonazisti greci di Alba Dorata nella loro sede.
Spiace che costoro possano ergersi a vittime per via dell’inutile arresto del loro vicepresidente Simone Di Stefano (già condannato per il furto della bandiera). Ora diffondono la sua foto in maschera e col cappio sormontata dallo slogan: «Amare la nazione non è reato». Questa estrema destra che a Milano è riuscita a riprendersi piazzale Loreto, con gli striscioni senza il simbolo di Forza Nuova ma dagli inequivocabili caratteri celtici già familiari nelle curve degli stadi, ha meticolosamente preparato il suo ritorno in campo. Adopera la maschera di una finta apoliticità per farsi accettare dai Forconi, che ora si dividono sull’opportunità di usufruire della sua forza organizzata. Ma intanto occupa uno spazio nella protesta di piazza che le era precluso dai tempi del “boia chi molla”, la rivolta di Reggio Calabria del 1970.
Gli avvoltoi che volteggiano intorno ai protagonisti della sofferenza sociale sono numerosi. Confidano che la storia si ripeta, e dunque che dal caos possa emergere un nuovo uomo forte? “Pronta la marcia su Roma”, era il titolone evocativo sulla prima pagina de Il Giornale di ieri. Demenziale ma significativo. Forza Italia dichiara di sentirsi al fianco del popolo dei Forconi, e pazienza se ha governato fino a ieri: si fa in fretta a gridare “tutti a casa” confondendosi nella folla dei diseredati. Chi volete che se ne accorga?
Pure altri ex ministri come La Russa e la Meloni gongolano sperando che Fratelli d’Italia possa trarre vantaggio elettorale, magari con l’aggiunta del simbolo di An, dal fatto che l’inno di Mameli è l’unico cantato nei blocchi stradali, così come la bandiera tricolore è l’unico simbolo ammesso. Ma non c’è dubbio che il network organizzativo dispiegato a partire dal 9 dicembre scorso, dopo una lunga preparazione, non è opera dei vecchi rottami governativi, bensì delle sigle più marcatamente fasciste, da Forza Nuova a Casapound. Gli stessi che l’estate scorsa minacciavano Cécile Kyenge mostrandole dei manichini insanguinati. Gli stessi che da anni introducono le croci celtiche negli stadi di calcio e che hanno reclutato nelle curve degli ultrà una nuova militanza giovanile, affascinata dall’iconografia littoria e dal linguaggio mussoliniano.
Essendo la retorica nazionalista il collante di ogni raduno — non fanno altro che ripeterti: «Noi siamo il popolo italiano» — chi si ritrova decisamente spiazzata è la Lega. Il coro «Italia vaffanculo », scandito al Lingotto di Torino dai congressisti padani che hanno eletto segretario Matteo Salvini, non sarebbe ammesso nelle piazze della protesta. D’un colpo il Carroccio si trova retrocesso nell’anacronismo.
Se l’estrema destra appare di colpo in grado di occupare il vuoto spalancato dalla crisi del berlusconismo, e di contenderlo al movimento di Grillo che si è nel frattempo parlamentarizzato, ciò si deve allo sbriciolamento di ogni rappresentanza sociale. Le associazioni del lavoro autonomo, della logistica, del commercio, dell’agricoltura sono percepite da chi si è impoverito come meri ingranaggi del potere. Sindacati e Confindustria, non ne parliamo. Così misuriamo quanto pericolosa sia la dissoluzione dei cosiddetti “corpi intermedi” della nostra società, travolti anch’essi dentro la crisi della politica. Nella voragine della solitudine esistenziale, con una sinistra incapace di rappresentare il conflitto e di fornire risposte concrete al malessere, il vuoto che si apre fa in fretta a popolarsi di fantasmi del passato. Che indossino una maschera post-moderna o imbraccino il simbolo atavico dei forconi, ci ricordano che la destra eversiva non ha mai smesso di impersonare l’autobiografia della nazione.
La Repubblica 17.12.13