Matteo Renzi ha deciso di trasformare il suo esordio da segretario in una sfida a Beppe Grillo sul terreno più insidioso: i costi e le regole della politica. È su questi temi che Grillo ha costruito la sua rendita più proficua. Anche Renzi, però, si è affermato come leader aggredendo con strumenti non convenzionali ciò che pareva inattaccabile. Ora non è chiaro se alle spalle ci sia già una strategia definita oppure se tocchi al linguaggio nuovo colmare i vuoti della politica. Certo, ieri al neosegretario non bastavano la celebrazione dell’orgoglio Pd, l’accelerazione delle politiche governative promessa da Enrico Letta, la ricomposta unità del partito anche grazie alla presidenza di Gianni Cuperlo. La «differenza» a cui tiene Renzi è appunto la velocità, la capacità di tenere l’iniziativa, di dribblare.
Grillo gli ha risposto con parole di disprezzo. Nessuno scambio possibile tra la restituzione dell’ultima rata di finanziamento ai partiti e le riforme istituzionali ed elettorali. Il Movimento Cinque stelle non fa patti con nessuno. Non li ha fatti con Bersani, non li farà con Renzi. E continuerà ad attaccare il Pd, anche il Pd della «seconda generazione», considerandolo alla stregua del Pdl. Destra e sinistra pari sono: questa la filosofia granitica di chi vuole il «tanto peggio».
Ovviamente, tutto è possibile tranne che Renzi non prevedesse la risposta. Ma il suo messaggio era rivolto anzitutto agli elettori sempre più incerti, a una società che nella crisi perde fiducia e acquista rabbia. Secondo qualcuno, il mancato successo di Bersani è stato determinato da due milioni di elettori, che avevano intenzione di votare il centrosinistra e che nell’ultima settimana prima del voto hanno deciso di lanciare un «segnale» attraverso i Cinque stelle. Non si capisce il tentativo di Bersani di aprire, dopo il voto, un confronto con i grillini senza questo macigno caduto sulla strada del Pd.
Il rifiuto di Grillo e Casaleggio ad ogni mediazione politica è figlio, questo sì, di una strategia consolidata, e allo stato im- modificabile. Grillo voleva il governo delle larghe intese, come oggi vuole le elezioni. E le vuole senza riforme significative. Fino a ieri si augurava di votare con il Porcellum, ora si dice disposto al ritorno del Mattarellum ma a condizione che non ci siano meccanismi di stabilizzazione dei governi. Insomma, l’obiettivo è tenere il sistema sotto ricatto e lucrare così ancora sullo sfascio e sulle sofferenze sociali.
Renzi ha vinto le primarie riuscendo a intercettare una parte di quegli umori che hanno composto la miscela esplosiva dei Cinque stelle. Si calcola che un milione di elettori delle primarie, circa un terzo del totale, avrebbero partecipato all’incoronazione di Renzi pur essendo completamente esterni al circuito del Pd e pur non essendo elettori stabili del centrosinistra. Si può discutere se sia giusto eleggere così il segretario di un partito, ma resta il fatto che Renzi è stato capace di catalizzare attenzioni, e speranze, che gravitavano fuori dall’orbita del Pd e chiedevano anzitutto di «chiudere il ventennio». Insomma, nonostante si sia discusso molto della capacità di Renzi di attrarre voti di centrodestra, è proprio nel magmatico mondo dei potenziali elettori grillini e in quello del centrosinistra più sfiduciato che il neosegretario si gioca la partita più importante, quella decisiva.
Ma c’è anche una ragione tutta politica che può spiegare l’affondo di ieri di Renzi. La riforma elettorale, qualunque es- sa sia, non sarà mai in grado da sola di garantire stabilità al sistema. Se Renzi vuole candidarsi alla guida di un governo di svolta, deve utilizzare il 2014 per realizzare alcune modifiche costituzionali: la più importante è affidare alla sola Camera il rapporto fiduciario con il governo (sarebbe meglio se riuscisse anche ad inserire la sfiducia costruttiva). Il problema è che né Grillo, né Berlusconi sembrano disposti a collaborare. Una legge elettorale forse si potrà fare con qualche forzatura. Ma le riforme costituzionali no. Anche per questo Renzi ha lanciato la sfida a Grillo. Per tentare di stanarlo. Ed è possibile che Renzi presto apra una sfida analoga anche a destra. Ciò che non può fare è abbassare i toni. Ha voluto che la sua segreteria coincidesse con un nuovo protagonismo del Pd. Non può farsi catturare dalle mediazioni del governo e della maggioranza.
Naturalmente, portare lo scontro sulle tonalità di Grillo comporta anche dei rischi. Innanzitutto il rischio di metabolizzare certe posizioni grilline. Il finanziamento pubblico dei partiti, ad esempio, non può essere considerato in sé un male: è invece la condizione, non a caso comune nei Paesi democratici, affinché anche i più poveri possano liberamente fare politi- ca e contrastare le lobby più potenti. Renzi ha acquisito gran- de forza con le primarie. Ha lanciato la sfida a Grillo per conquistare altra forza. Poi dovrà spenderla. Nel 2014 ci saranno comunque le elezioni europee. E saranno una prova durissima, perché sulla linea anti-euro Grillo, Berlusconi e la Lega possono spaccare il Paese. La speranza di Renzi e del Pd sta soprattutto in quel popolo del centrosinistra, che ancora ha dimostrato di volersi «ribellare» al declino del Paese,
L’Unità 16.12.13