«Chi è nato dopo il 12 dicembre 1969 non sa praticamente niente della strage di piazza Fontana, e i meno giovani hanno la tendenza a dimenticare o a ritenere che sia qualcosa che appartiene solo al passato. Invece — avverte il professor Carlo Smuraglia, ex senatore, ex Csm, presidente dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia — tenere viva la memoria di cosa questa strage abbia significato nella vita del Paese è un compito che sarà sempre attuale finché non avremo raggiunto, se non la giustizia, almeno la verità sulla strage. Ogni anno noi abbiamo questo dovere».
«Noi» chi?
«I mezzi di informazione, per cominciare. Poi soprattutto la scuola, per evitare che accada che alla domanda su piazza Fontana capiti di ascoltare dai ragazzi le risposte più astruse. E le istituzioni, che devono sottrarre all’oblio la memoria viva di fatti di questa gravità, anche per garantire che lo Stato venga sottratto a rinnovati rischi antidemocratici che può correre in taluni frangenti».
Altrimenti?
«Altrimenti resta una cosa giusta ma non basta il semplice ricordo: portare la corona di fiori o fare la manifestazione e il corteo sono iniziative preziose, che vanno però accompagnate da qualcosa che attualizzi la memoria della madre di tutte le stragi».
È stata appena archiviata l’ultima indagine, che ha escluso la fondatezza di taluni spunti (come la teoria della doppia bomba) molto gettonati nella pubblicistica. È come se si dimenticasse sempre che in realtà una verità processuale, pur nel travaglio di tanti filoni, esiste già.
«Almeno in Cassazione, seppure non si è potuti giungere (anche per tutta una serie di questioni giuridiche) a condanne di responsabilità individuali, i giudici hanno affermato che la matrice fascista della strage è inequivocabile. Ma nel corso dei processi sono emersi anche tanti comportamenti di parti dello Stato che si collocarono, se facessimo riferimento al confronto tra “guardie e ladri”, dalla parte non certo delle guardie: spostamenti di competenze che complicarono gli accertamenti, depistaggi, atteggiamenti di questori e persino ministri per orientare le indagini verso piste infondate, e poi l’intero caso Pinelli… E tutto questo va tenuto vivo, in maniera tutt’altro che retorica ma attualizzata, anche con elementi nuovi provenienti magari in futuro da studi e ricerche».
Tocca un nervo scoperto: è ormai dagli storici o è ancora dai magistrati che ci si deve aspettare qualche ulteriore frammento di verità? L’ex giudice istruttore Salvini da tempo accusa i pm milanesi di «non aver fatto» o di «aver fatto poco e con la mano sinistra». Ma la recente minuziosa archiviazione del giudice D’Arcangelo documenta che gli strumenti giudiziari hanno ormai setacciato tutto il possibile.
«Non voglio entrare nel merito di queste polemiche. Dico però che è importante attualizzare il ricordo e scavare sempre perché non c’è mai un momento in cui si possa dire la parola “fine” alla ricerca della verità. Con l’aiuto di tutti quelli che hanno buona volontà potranno magari emergere anche fatti nuovi o elementi per rivalutare quelli vecchi».
Il corriere della Sera 11.12.13