Le primarie del Pd hanno garantito a Matteo Renzi un successo ampio e netto — quasi il 70% dei consensi. Legittimato da una mobilitazione larga quanto inattesa. Circa 3 milioni. Più o meno come nel 2009 e nel secondo turno dell’anno scorso. Quando, però, si trattava di primarie di coalizione per scegliere il candidato premier del Centrosinistra. Un’affluenza tanto ampia non era scontata.
Due settimane fa, infatti, la quota di elettori del Pd e del Centrosinistra che dichiarava l’intenzione di partecipare alle primarie era, di circa un terzo, inferiore alle occasioni precedenti (Sondaggio Demos). Effetto, soprattutto, della delusione, in seguito al risultato delle elezioni di febbraio. Quando il centrosinistra non è riuscito a vincere, nonostante la mobilitazione e le attese alimentate dalle primarie svolte in novembre. Invece, anche in questa occasione, molti elettori hanno messo da parte disincanto e frustrazione.
Così, per una volta di più, domenica sono tornati ai seggi allestiti dal Pd. Ci hanno ripensato per diverse ragioni. Anzitutto, il vizio della partecipazione. La convinzione democratica. La convinzione che la “volontà popolare” sia importante. E vada sostenuta comunque. Nonostante tutto. Tanto più se avviene “di persona”. E permette di incontrare — e, prima ancora, discutere con — altre persone. In tempi nei quali la “partecipazione” è stata sostituita dalla televisione. Oppure dalla rete. A cui, però, molti non accedono. Mentre quelli che sono “connessi” — in numero, peraltro, crescente — comunicano senza incontrarsi “di persona”. Così, alla fine, molti “delusi” hanno ceduto alla convinzione “democratica”. In entrambi i sensi: alla partecipazione democratica — offline — promossa dal Partito Democratico. Al quale è stata concessa un’altra occasione. Per realizzare, davvero, il cambiamento. E per cambiare — esso stesso. Come ha sottolineato Romano Prodi, per spiegare la sua “sofferta” decisione di votare, dopo aver annunciato, in precedenza, che non l’avrebbe fatto (con molte ragionevoli ragioni).
Ad alimentare la partecipazione ha contribuito, in misura importante, la competizione tra i candidati. Accesa, malgrado l’esito apparisse largamente scontato. Nell’insieme, ha dato l’idea di un “cambio di generazione”. La diversa storia politica personale dei due “sfidanti” di Renzi ha, infatti, integrato e allargato l’offerta politica proposta agli elettori. All’interno e all’esterno del Pd. Come emerge, in modo particolarmente chiaro, dai dati dell’indagine condotta da C&LS. Circa 3600 interviste effettuate (e coordinate dalle Università di Cagliari e Milano) durante le primarie, fuori dai seggi, presso un campione nazionale significativo. Mettono in evidenza, anzitutto, le differenze generazionali degli elettori dei tre candidati. Pippo Civati, infatti, raccoglie i suoi consensi soprattutto fra i più giovani (circa il 30% fra 16 e 34 anni), Gianni Cuperlo fra i più anziani (35% oltre i 65 anni). Matteo Renzi, invece, attinge, in modo trasversale, da tutti gli strati d’età. Non a caso, visto che rappresenta la larga maggioranza della base del Pd — coinvolta e potenziale.
Per questo, però, il contributo di Cuperlo e Civati è utile a Renzi e al Pd. Perché i due sfidanti intercettano componenti, per quanto delimitate, molto diverse e lontane fra loro; difficili, soprattutto, da saldare insieme. Cuperlo: il retroterra dei partiti tradizionali. Civati: gli elettori insoddisfatti della politica, che guardano “oltre” il Pd.
D’altra parte, quasi metà degli elettori di Cuperlo (il 48%) è composta da iscritti al Pd, mentre più di tre quarti di quelli di Renzi e di Civati si dichiarano non-iscritti.
Le differenze fra i candidati appaiono evidenti dagli orientamenti politici. Gli elettori di Cuperlo sono concentrati a centrosinistra e a sinistra (90%, distribuiti quasi equamente tra le due aree dello spazio politico), quelli di Civati soprattutto a sinistra (57%). Dove si colloca una componente significativa di elettori di Sel. Renzi, invece, è saldamente ancorato a centrosinistra (50% dei voti), ma attinge consensi anche al centro (18%). Nella sua base, non per caso, appare ampia (31%) la quota dei cattolici praticanti.
Gli elettori delle primarie si differenziano anche negli atteggiamenti verso il governo guidato da Letta. Coerentemente con l’orientamento dei candidati. Oltre il 60% degli elettori di Cuperlo esprime un giudizio “favorevole”. La stessa quota di “contrari” che si osserva tra quelli di Civati. Mentre la base di Renzi appare, di nuovo, equamente divisa. Ciò significa, però, che quasi metà dei suoi elettori valuta negativamente l’azione del governo. Il che costituisce un segnale significativo — e preoccupante — per Letta e per la sua maggioranza.
D’altronde, per gli elettori del Pd che hanno votato alle primarie, la scelta di Renzi appare un investimento esplicito in vista delle elezioni. Non a caso, il 94% dei partecipanti al voto delle primarie si dicono convinti che Renzi sia in grado, più di ogni altro candidato,
di battere il Centrodestra alle prossime elezioni. Lo pensano, in larghissima maggioranza, anche gli elettori di Cuperlo (80%) e, ancor più, di Civati (90%).
Ciò chiarisce il significato di un’affluenza tanto estesa. E di un consenso così ampio a favore di Renzi. A sinistra e a centrosinistra. Vincere e durare. Senza governi tecnici. Senza larghe intese. Ma, piuttosto, con una maggioranza larga. Perché partecipare, stare con gli altri, insieme ad altre persone: fa bene. Fa stare bene. Ma, almeno ogni tanto, bisogna vincere. E governare. Per la stessa ragione, c’è da credere che questo risultato renda Matteo Renzi più impaziente. Determinato a marcare la sua volontà di “cambiamento”, com’è apparso chiaro fin dalla composizione della sua segreteria. Ma, al tempo stesso, reso inquieto dal dubbio — e dal timore — che, in tempi incerti come questi, il tempo — anche il suo
tempo — passi in fretta.
La Repubblica 10.12.13