«Niente». È niente quell’uomo che è a tre metri da lei, stesso banco, a sinistra. L’uomo che ha mandato due sicari a bruciarle la faccia con l’acido. Lucia Annibali guarda avanti, guarda la faccia del giudice. Non vale la pena guardare l’uomo che le diceva “hai il viso più bello del mondo” e poi l’ha fatta sfigurare. Meglio guardare avanti. Dietro ci sono i due albanesi che nella sera del 16 aprile l’aspettavano a casa sua con l’acido solforico. «Cosa stai provando?», le chiede sottovoce l’avvocato difensore, Francesco Coli. «Niente», risponde lei. «Tengo duro. La più forte sono io». Poi si gira un attimo, per guardare il volto di Rubin Talaban, arrivato da Shkoder in Albania, l’uomo che per lei era solo un passamontagna nero. Era l’ultima cosa che aveva visto, quella sera. Poi ci furono soltanto la mano che lanciava l’acido, l’urlo di dolore, il buio che le copriva gli occhi.
«Volevo vedere — dice Lucia — che faccia avessero, quei due. Non li avevo mai visti prima. Quello con il passamontagna è stato il mio incubo». In ospedale, le prime notti, quando sentiva dei passi e gli occhi ancora erano spenti, credeva che l’uomo che l’aveva rovinata venisse a finire il suo lavoro. Per un attimo ha cercato anche lo sguardo del suo ex fidanzato, stretto fra due guardie di custodia. «Volevo fargli vedere cosa mi ha fatto. Un attimo solo mi è bastato. Prima di arrivare in udienza ero agitata, sentivo dentro apprensione e anche paura. Poi in aula mi sono rilassata. Ho guardato quei tre e mi sono detta: Lucia, hai superato la prova. Quando ho guardato il mio ex ho capito una cosa importante: non mi fa più paura».
Cappotto rosso fuoco, cappello scuro e occhiali. Appena esce dall’auto dei carabinieri Lucia Annibali si toglie la maschera di silicone che deve portare almeno quattro ore al giorno. È scesa nel garage del tribunale, lontano da taccuini e telecamere. All’ingresso principale ci sono le donne dell’Udi con i cartelli: “Lucia potrei essere io”. Lei, per ora, vuole mostrare il suo volto solo a chi le ha fatto troppo male e al giudice che dovrà dare giustizia. L’udienza è breve, poche ore. Gli avvocati della difesa chiedono il rito abbreviato «subordinato però a integrazioni probatorie». Vogliono sentire altri testimoni e periti. Il giudice Maurizio Di Palma dice che l’istruttoria non ha bisogno di integrazioni. Fissa l’udienza per il 21 febbraio, il 22 ci sarà la sentenza. Non sarà passato nemmeno un anno dall’aggressione, a volte la giustizia riesce a essere veloce. «Sono contenta di questa decisione — dice Lucia Annibali, anche lei avvocato — Presto potrò avere giustizia e non è cosa da poco. Ho guardato gli accusati solo per un attimo perché io oggi non dovevo guardare loro ma guardare avanti, al mio futuro. È quel che ora conta davvero per me». Il suo avvocato, quando il giudice esce dall’aula, le chiede: «Lucia, cosa vuoi fare?». C’è sempre la porta secondaria che porta al garage, la macchina dei carabinieri è pronta al viaggio verso Urbino. Lucia non risponde, ma con la mano indica la porta principale. Sa che di là ci sono dieci telecamere pronte, ci sono i cronisti e i fotografi. «Senza dire una parola — dice l’avvocato Francesco Coli — con quella decisione Lucia ha spiegato tutto: la più forte sono io, sono uscita dal guscio e non ho paura a mostrare il mio volto ferito. Voglio rientrare nel mondo delle persone normali».
Flash, applausi e grida. «Lucia, Lucia…». Con il padre, la madre e il fratello la donna sale a salutare il procuratore capo Manfredi Palumbo. Dal garage partono invece i cellulari con Luca Varani e gli albanesi Altistin Precetaj e Eubin Talaban. L’uomo accusato di essere il mandante dell’oltraggio ancora una volta ha raccontato la sua verità. «Io volevo che con l’acido i due albanesi facessero danni all’auto di Lucia, non a lei. Oggi ho offerto un appartamento, come risarcimento. So che è un piccolo gesto ma è tutto quello che posso fare». Offerta respinta. Luca Varani ha avuto una figlia, due mesi fa, dalla fidanzata “ufficiale”, sempre nascosta a Lucia. Lui ha riconosciuto la figlia, la donna lo va a trovare in carcere.
Lucia Annibali esce dal portone centrale del palazzo di giustizia. Ci sono tante donne ad applaudirla. Sui loro cartelli hanno scritto “Siamo tutte parte lesa”, “Gli schiaffi sono schiaffi. Scambiarli per amore fa molto male”. Una troupe riesce a ripeterle la domanda: «Cos’ha provato, a rivedere Varani?». «Niente», risponde ancora. Lei deve guardare avanti, al suo futuro. Oggi sarà ancora all’ospedale di Parma per un controllo. Forse più serena. Gli incubi, quando hanno un volto e non sono soltanto un passamontagna, fanno meno paura.
La Repubblica 10.12.13