Chissà se, giudicando a mia volta molto duramente la messa all’indice di Francesco Merlo, la terza nomination toccherà a me, e la quarta a chi proverà a difendermi dal diluvio di atroci insulti e minacce che le bande che infestano il web dedicano ai giornalisti messi all’indice dal leader del Movimento Cinque Stelle. Rispetto a Oppo, il vantaggio di Merlo ed eventualmente mio è che dovrebbe esserci risparmiata la dose, veramente impressionante, di odio antifemminile che ha reso ancora più disgustoso il linciaggio della corsivista dell’Unità. Sono quasi tutti maschi, i bastonatori internauti, e anche questo è un indizio di quanto poco, ahimè, il mezzo abbia cambiato il messaggio.
Se Dario Fo leggesse i toni e le intenzioni di quei messaggi, ci troverebbe l’eco dell’odio fascista che colpì Franca, ovviamente senza piegarla, ovviamente rafforzandone il coraggio e la libertà.
Chissà se e quando qualcuna delle persone di buon senso che circondano Grillo gli farà capire che un leader politico, per sua dignità e per sua responsabilità, non è nelle condizioni di indicare ai suoi seguaci, con nome e cognome, una/un giornalista da odiare, senza finire inevitabilmente nel novero dei capataz arroganti e senza manomettere seriamente la propria autorevolezza politica. Noi giornalisti scriviamo tante cose, alcune utili altre no, alcune giuste altre no, ma da almeno un paio di secoli la democrazia garantisce alle nostre parole il diritto di esistere, salvo incorrere in reati (per esempio la diffamazione)
verificabili davanti a un tribunale.
I vaffanculo di Grillo (anche quelli ad personam) non gli sono stati imputati per via giudiziaria perché si riconosceva all’attore politico una certa licenza dialettica. Per quale forma di follia, dunque, Grillo (proprio lui!) si permette di negare ai giornalisti la libertà di criticarlo anche con durezza, e per giunta senza ricorrere alle insolenze che lui usa a piene mani? Qualcuno spieghi a Beppe Grillo che è il leader di un movimento politico di prima grandezza. E che questo potere — enorme — non gli consente più di prendere per il collo, anche solo metaforicamente, le persone fisiche che, con pieno diritto, e non avendo altra difesa che il proprio lavoro, hanno scelto di non essere a sua disposizione.
La Repubblica 09.12.13