E’ una vittoria straordinaria, netta e senza ombre. Renzi diventa segretario sull’onda di una partecipazione democratica eccezionale che va oltre ogni previsione e che è il più bel patrimonio della sinistra. Queste primarie diventano in questo modo un vero spartiacque: per il Pd si chiude un’epoca. Ne comincia un’altra che sarà radicalmente diversa, e non solo per il leader che ha incarnato con ostinazione e con maggiore freschezza degli altri il bisogno del cambio di scena, ma soprattutto per gli effetti che questa novità potrà avere sull’Italia. Non c’è dubbio che la sfida controcorrente di Cuperlo per un Pd fortemente di sinistra esca ridimensionata dal giudizio del popolo delle primarie: non è riuscita a intercettare la forte spinta a cambiare tutto che gli errori del passato hanno gonfiato. E anche la battaglia di Civati per un partito più radicale e molto critico con il governo delle larghe intese strappa sì qualche percentuale, ma resta al di sotto delle aspettative.
L’investitura ricevuta dal sindaco di Firenze, insomma, è pesante. Come pesante sarà la responsabilità che ora è sulle sue spalle di vincitore. È oggi, dopo le feste per la bella vittoria, che cominciano infatti le prove più delicate, dal cui esito dipendono sia il futuro del Pd che quello del governo Letta e dello stesso sistema politico terremotato dalla sentenza della Corte Costituzionale. La prima vera scelta strategica, infatti, riguarda proprio la sopravvivenza del sistema repubblicano perché da essa dipende l’evoluzione del nostro Paese verso una democrazia matura, non più prigioniera di qualche nuovo porcellum di passaggio. Il bivio è qui: immaginare un piccolo accordo che aggiusti quel che la Corte Costituzionale ha smontato per andare al voto rapidamente, oppure pensare a una riforma della politica che non solo ci dia subito una buona legge elettorale di tipo maggioritario, ma anche un disegno istituzionale che preveda una sola Camera e una riduzione del numero di parlamentari. Senza farla troppo lunga: riuscire ad aprire una nuova fase della democrazia e della Repubblica, finendola con gli inganni e i pastrocchi del passato, oppure accontentarsi di qualche correzione.
No, non è un’impresa facile, ma è il cuore della sfida della sinistra. Proprio per questo Renzi deve affrontare subito, sin dalla verifica di questi giorni, il tema del governo. In queste settimane il sindaco ha dato più volte l’impressione di voler segare la seggiola di Letta, come la chiama lui. Questo gli è servito per raccogliere i consensi di chi (e non sono pochi) mal sopporta la convivenza forzata anche con un centrodestra depurato da Berlusconi. Bene, ma ora bisogna che sia chiaro quel che si vuole. Non c’è dubbio che il governo abbia bisogno di un tagliando e che il Pd deve far sentire la sua voce. Serve una svolta, lo sappiamo: crescita, lavoro, equità e coraggio in Europa per modificare quei parametri che hanno piegato l’economia. Questa sfida va condotta con nettezza, senza escludere un rafforzamento della squadra di governo. Giusto, il Pd deve dettare l’agenda. Avendo però a cuore che Letta porti a compimento la sua missione nel miglior modo possibile per la vita degli italiani e consentendo al Parlamento di approvare le grandi riforme che servono. Se andasse così sarebbe una doppia vittoria per il Pd e il Paese potrebbe vedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Renzi e Letta, a dispetto delle convenienze immediate, hanno i destini incrociati: affinché la svolta sia profonda l’uno oggi ha bisogno dell’altro.
Il Pd che Renzi prende in mano è, nonostante tutto, un partito ancora fragile che si porta addosso le ferite di una brutta sconfitta elettorale. È un partito che ha bisogno di essere ricostruito. La partecipazione alle primarie è sicuramente un buon energetico, ma da solo non basta. Nel Pd convivono, come si è visto, diverse anime e molte forti passioni. Il difficile compito del nuovo segretario è riunire questi mondi vitali, farli diventare una comunità. Il bello di questa storia è che il Pd oggi, qui in Italia, è un serbatoio immenso di energie al quale attingere per cambiare radicalmente il Paese. È una speranza per donne e uomini, una forza viva tra il partito padronale di Berlusconi e quello eversivo di Grillo.
Chi alle primarie ha compiuto un’altra scelta, deve continuare a sentirsi a casa propria in questo nuovo Pd che oggi nasce. Deve sentirsi parte di una missione, deve sapere che le sue idee non saranno archiviate dopo che sono stati smontati i gazebo. Ha detto bene Prodi: ora vincitori e vinti facciano squadra. E in una squadra c’è chi segna i gol, ma ci sono anche quelli che danno la palla e di ognuno c’è bisogno per vincere la partita. Questo Renzi lo sa bene, nonostante molti dei suoi abbiano vagheggiato la «libertà assoluta del vincitore». Il Pd è ancora una creatura giovane che, come ha detto ieri Epifani sull’Unità, ha bisogno di cura. Ma oggi ha una nuova classe dirigente. Sì, la sinistra è diversa dalla destra anche in questo, e il Pd si chiama democratico non per caso: non c’è uno che dà gli ordini e gli altri che eseguono in silenzio. Il segretario di un partito ha un potere enorme e deve saperlo amministrare con chiarezza, ma anche con equilibrio e lungimiranza. Perché, come cantava Dalla, il pensiero è come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare. E di pensieri di sinistra, in questo deserto italiano, ne servono tanti e molto lunghi per poter ricominciare a sognare un’altra storia.
L’Unità 09.12.13