Il Censis scommette sulle donne. Il 47° rapporto sulla situazione sociale le definisce «nuovo ceto borghese produttivo». Anche il Censis sceglie di scommettere sulle donne. Superando un certo scetticismo degli anni passati il 47° rapporto sulla situazione sociale del Paese stavolta parla esplicitamente di loro «come nuovo ceto borghese produttivo». Dopo cinque anni di pesante crisi non solo il protagonismo femminile non è stato asfaltato ma addirittura si propone in chiave di rifondazione dal basso della classe dirigente. Già da qualche anno i sociologi avevano cominciato a individuare una sorta di effetto elastico: le risorse rosa erano rimaste troppo a lungo compresse nella società italiana per una serie infinita di vincoli, una volta preso però l’abbrivio avrebbero riguadagnato posizioni in maniera molto veloce. Ed è quanto è avvenuto in questi anni «controvento» — ovvero in un contesto recessivo che in linea di principio non aiuta certo ad aprire le società — grazie a un sovrappiù di motivazioni. I numeri lo attestano: il saldo delle imprese femminili nell’ultimo anno è stato di 5 mila in più, sono aumentate anche le cooperative con titolare donna e soprattutto le società di capitali a conduzione femminile (9 mila in più). Ma al di là dei freddi dati la novità sta proprio nel giudizio straordinariamente caldo del Censis, che riconosce alle donne «capacità di resistenza ma anche di innovazione, di adattamento difensivo e persino di rilancio e cambiamento».
La società italiana nella fotografia scattata da Giuseppe De Rita è «sciapa e malcontenta» e proprio per questo è meritoria una ricognizione che punta a identificare i soggetti che si muovono in controtendenza. Le metafore a cui ricorre — come d’abitudine — il Censis per indicare l’alto valore aggiunto di questi sforzi quest’anno sono due, «energie affioranti» e «sale alchemico», e servono a indicare fenomeni capaci di andare oltre la mera sopravvivenza alla crisi. E qui accanto alla «borghesia rosa» il Rapporto scommette sulla «faticata soggettività degli stranieri che vivono in Italia», sia in termini imprenditoriali sia di partecipazione sociale. E ancora De Rita sottolinea «l’importanza crescente» delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all’estero e che un giorno possono essere richiamati «a fare un’Italia orizzontalmente operante nella grande platea della globalizzazione». Infine il Censis rinnova la sua fiducia sulle forze di territorio, almeno quelle che si stanno affrancando dal localismo e stanno mostrando una carica di immedesimazione tra la vita della comunità e le imprese. «Cosa che una volta valeva solo per l’Olivetti» e oggi invece si registra in buona parte del Nord.
Sul piano lessicale, terreno di impegno tutt’altro che secondario del deritismo militante, la proposta del Rapporto è di sostituire la vecchia espressione di «coesione sociale» con «connettività». Non stiamo parlando della banale connessione tecnico-digitale — avvertono gli estensori — ma addirittura del filo rosso del nuovo sviluppo. E chi meglio delle donne ha dimostrato la capacità di fare rete, di costruire «nuova civiltà collettiva» partendo dalle esperienze orizzontali e non dalle agende fitte di priorità individuate a tavolino?
Il Censis continua a credere nella spontaneità dei processi sociali e nella loro lenta maturazione, spera che si connettano generando ulteriore valore aggiunto, pensa che in fondo sia questo il vero argine al populismo e se i tempi della politica non sono quelli della società, beh… pazienza. Scrive De Rita: «Non si costruisce nessuna classe dirigente con annunci di catastrofe emessi a ritmo continuo, con continue chiamate all’affanno, con continue affannose proposte di rigore, con un continuo atteggiamento pedagogico cui è sottointeso un moralistico pregiudizio nei confronti delle qualità civili della gente». Forse mai come quest’anno il Rapporto aveva dedicato così poco spazio al quadro politico: sette paginette, tabelle incluse, in un librone che ne conta 540. Il titolo del capitolo contiene già un giudizio piuttosto netto («avvitamento della politica») e il testo si appunta criticamente sul ritorno del decisionismo testimoniato dai 664 provvedimenti emanati dai governi Monti e Letta, di cui però sono stati realmente adottati solo 225, pari al 33,9%. È risaputo che il governo dei tecnici prima e quello delle larghe intese dopo non abbiano entusiasmato De Rita che in quest’occasione ha voluto soprattutto sottolinearne il paradosso tra una produzione legislativa poderosa e la cronica incapacità di implementazione delle novità. Quanto alle virtù salvifiche dei riti delle primarie o delle nuove leadership il Rapporto non ne parla: preferisce riporre le speranze, come da tradizione, sulle trasformazioni collettive di lungo periodo. Anche per questo inneggia alle donne.
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Nell’Italia «sciapa » colpita dalla crisi crescono le donne a capo di un’impresa”, Alessandra Arachi
Non avrebbe potuto essere altrimenti: il Censis ha scattato la fotografia dell’Italia nel 2013 e la didascalia, inevitabilmente, recita: «Una società sciapa e infelice in cerca di connettività». Ci sono numeri ben poco felici nel rapporto del Censis di quest’anno, il quarantasettesimo della serie «non avrebbe potuto essere altrimenti».
È questione di soldi, certo, ma anche di accidia, immoralismo, disinteresse generalizzato, ignavia, depressione. La crisi, ci dice il Censis, sembra essere più dentro di noi che non fuori. E non è un caso se le energie migliori, i nostri giovani, se ne vanno all’estero a cercare opportunità e anche una scala di meritocrazia da noi ormai smarrita. È questione di tessuti valoriali persi, dissolti in un egoismo che guarda l’altro non soltanto con sospetto, ma anche con odio, perlomeno se parliamo del razzismo non più latente che sembra esploso nei confronti dei nostri immigrati. È questione di lavoro che non c’è, che genera una disillusione totale negli italiani spingendoli sempre più lontano non semplicemente dai partiti ma anche dal più semplice impegno politico. Ma guardiamo adesso la fotografia con alcune zoomate.
Il lavoro che non c’è
Abbiamo un tasso di disoccupazione che dal 2008 è raddoppiato (da 6,7% a 12%) e una sottoccupazione che interessa un italiano su quattro, il 25,9% per la precisione, ovvero 3 milioni e mezzo di persone con contratti a termine, occasionali, collaboratori, finte partite Iva. Di più: secondo il Censis ci sono quasi 3 milioni di persone che cercano attivamente lavoro senza trovarlo (2,7 per essere esatti) e dal 2007 questo numero è pressoché raddoppiato. A questi bisogna aggiungere un’altra cifra consistente: 1,6 milioni di italiani che hanno smesso di cercare lavoro, convinti di non trovarlo.
La fuga all’estero
Un Paese che non da lavoro, soprattutto ai giovani, è un Paese senza futuro. Ecco perché gli italiani fuggono all’estero, letteralmente. Nell’ultimo decennio è più che raddoppiato il numero di quelli che hanno trasferito la propria residenza all’estero, passando dai 50 mila del 2002 ai 106 mila del 2012. Con un picco nell’ultimo anno, soprattutto fra i più giovani: il 28,8% è infatti l’incremento della fuga tra il 2011 e il 2012 e, di questi, il 54,1% ha meno di 35 anni.
Il disinteresse per la politica
C’è da stupirsi che di fronte a cifre come quelle che abbiamo appena raccontato gli italiani abbiano perso mordente e fiducia? Non amano i politici e i loro discorsi, gli italiani: uno su quattro dichiara di non interessarsene proprio mai, ma questa percentuale sale a 4 su 10 se ci mettiamo dentro quelli che dicono di interessarsi di politica non più di una paio di volte al mese. Ma non solo gli italiani non si occupano di quello che fanno i politici, hanno anche smesso di occuparsi di politica in prima persona: secondo il Censis è il 56% che non ha attuato nessun tipo di coinvolgimento politico negli ultimi due anni, nemmeno uno minimo come la firma di una petizione (contro una media europea del 42%).
Spese ridotte al minimo
Nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre dieci anni, segnala il Censis. E spiega che ben una famiglia su quattro nel 2013 ha faticato a pagare tasse e bollette. Sette famiglie su 10 (il 69%) hanno invece ridotto o peggiorato la loro capacità di spesa e soltanto un 2% è riuscita ad aumentare le proprie spese. Sono diminuite del 6,7% le spese per i beni alimentari, del 15% quelle per abbigliamento e calzature, del 19% quelle per il trasporto, dell’8% quelle per l’arredamento e per la manutenzione della casa. Viceversa sono cresciute le spese incomprimibili (e spesso involontarie) come quelle per le spese domestiche e la manutenzione della casa (+6,3%) e quelle medico sanitarie (+19%).
Donne e immigrati
È un bollettino di guerra anche quello delle imprese. Tante quelle che non ce la fanno a resistere alla crisi. Tante quelle che fra il 2009 e il 2012 hanno chiuso i battenti: il 4,4%, è andato a contare il rapporto del Censis. Ma sono tante anche le imprese che la crisi la guardano dritta negli occhi: sono quelle aperte dalle donne e dagli immigrati. Il Censis è andato a contarle: nel 2013 ci sono state ben 5 mila imprese in più messe su da donne. Ma, ben più consistente, il picco degli stranieri: +16,5% le imprese straniere che hanno aperto i battenti nel nostro Paese quest’anno. Con picchi nei picchi: 40 mila i negozi gestiti dai marocchini, 12 mila quelli gestiti dai cinesi.
La forbice fra Nord e Sud
In un momento di crisi come è questo diventa inevitabile che un Paese che già viaggiava a due velocità aumenti il suo divario. Qui in Italia, però, a dividere il Pil del Centro-Nord da quello del Mezzogiorno, sembra di parlare di due Paesi diversi. I numeri: è di 17 mila 957 euro il Pil pro capite del Mezzogiorno, inferiore a quello di Grecia e Spagna e, soprattutto, praticamente la metà di quello dell’altra metà del Paese (57% per la precisione). Inevitabilmente è diminuito anche il contributo del Sud alla ricchezza del Paese, circa un punto percentuale in meno di quattro anni (dal 24,3% al 23,4%) l’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale.
Cresce l’intolleranza
Il Censis è andato diretto nella sua indagine, chiedendo agli italiani: quanti di voi prova comprensione e ha un rapporto amichevole con gli immigrati? Diciamo, con un eufemismo, che non c’è stato un coro unanime in risposta. È stato un desolante 17,2% che ha risposto con fare benevolo verso l’altro straniero. Due italiani su tre pensano semplicemente che gli immigrati siano troppi. Sei su dieci sono invece diffidenti verso gli immigrati e non lo nascondono. Non basta: c’è un 6,9% che dichiara anche un’aperta ostilità, mentre il 15,8% degli italiani si sono dichiarati indifferenti. Inevitabilmente queste cifre fanno scattare un campanello, meglio: una campana d’allarme per il pericolo dell’avvento di un razzismo violento e bieco. Il Censis ci mette in guardia.
La rinascita della spiritualità
Forse è normale in questi tempi foschi. Forse è l’appiglio per non precipitare nel baratro. Di certo c’è che gli italiani hanno riscoperto in blocco la spiritualità. Più le donne rispetto agli uomini, ma nella media è il 73% degli italiani che alle domande del Censis ha risposto di trarre energia dalla spiritualità. Molta, il 58,6% (di cui il 64,8% donne) oppure abbastanza il 34,6%, ma in generale c’è una riscoperta della dimensione spirituale che sembra travolgere quella semplicemente religiosa. Riguarda molto i giovani (quasi uno su due fra i 18 e i 24 anni), ma anche gli adulti e gli anziani (più di 6 su 10 oltre i 55 anni). Ecco quindi che festival e convegni all’insegna della scoperta della scienza, della letteratura, dell’arte, come pure esperienze dissepolte ad alta caratura spirituale, magnetizzano l’interesse di migliaia e migliaia di persone.
Il COrriere della Sera 07.12.13