Non ne poteva più delle lunga processione di case con la muffa sui muri, mobili scalcinati e impianti fuori norma in cui ha passato gli anni dell’università. Cosi Davide De Santis, barese di 28 anni trapiantato in Emilia Romagna, ha deciso di fare qualcosa. A settembre, negli stessi giorni in cui si laureava in Scienze politiche, ha inaugurato i suoi 29 posti letto nel centro di Bologna. «Ho fondato una cooperativa che gestisce 8 appartamenti per studenti. Offriamo condizioni migliori e prezzi più bassi del mercato, 330 euro massimo per chi sta in singola, 200 per chi sceglie la doppia». De Santis e i suoi due soci fanno contratti lunghi con i proprietari delle case, le arredano e le affittano per 12 mesi alla volta agli studenti — il tutto finanziato grazie a 20 mila euro ottenuti con il microcredito. «Non mi aspettavo un inizio così di successo», ammette. Ma stanze a buon mercato di questi tempi sono merce rara.
Quando si parla dei costi dell’università quasi sempre la polemica è sulle tasse. La vera differenza però la fanno gli alloggi per chi si iscrive lontano dalla sua città, circa la metà degli universitari italiani. Secondo un’indagine realizzata a settembre da Cgil e Sunia l’affitto si porta via l’80% del loro budget. Una singola a Milano e a Firenze costa tra i 500 e i 700 euro; poco meno a Napoli e a Roma, 4-500 euro a Bologna. I prezzi scendono, ma non molto, nei centri più piccoli: tra i 3-400 euro a Pisa, Urbino e Perugia; cinquanta in più a Padova. I posti letto in doppia oscillano intorno alla metà di queste cifre (dati Cgil-Sunia). Tre universitari su 10 hanno problemi a pagarle.
Gli atenei non offrono di fatto soluzioni: i posti negli studentati sono solo 65 mila per 650 mila fuori sede. Uno su dieci. Di questi solo il 66% è in residenze pubbliche o gestite da enti universitari a prezzi «calmierati». I recenti tagli all’università non aiutano. Mancano anche i posti per chi avrebbe diritto per merito e reddito: «A livello nazionale è coperto solo il 10%», dice Guido Cioni, portavoce fiorentino del coordinamento universitario Link. Nella sua città, l’Azienda regionale per il diritto allo studio si è trovata così a corto di soldi che voleva chiudere le residenze studentesche durante le vacanze di Natale. Soltanto la mobilitazione degli studenti ha permesso di trovare un compromesso: potranno restare gratis, ma dovranno concentrarsi nelle residenze più grandi, in modo da chiudere le altre e risparmiare.
Altri enti universitari cercano soluzione creative. Maria Rivera, 24 anni, argentina, è una dei 17 studenti che anni hanno trovato una stanza gratis grazie all’accordo tra quello laziale, Laziodisu, e l’associazione no profit Libera Cittadinanza. La ospita un signore ottantenne, che lei ha «adottato»: in cambio dell’impegno ad accompagnarlo dal medico e cucinare, ha una singola nel centro della Capitale. Però deve dormire a casa tutte le sere: «Perché se non si sente bene, c’è qualcuno che può chiamare il Pronto soccorso — spiega —. Sono sei mesi che sto lì ed è come se fosse un nonno: mi racconta le storie della sua gioventù e se esco si raccomanda che stia attenta…».
Alfredo Giacchetto, invece, 25 anni, studia Management dei beni culturali a Venezia e vive con 11 coinquilini, in un ex convento a Cannaregio. «È stato appena ristrutturato, offre un sacco di servizi, la possibilità di allestire mostre nel chiostro antico e di seguire seminari con designer di fama. Presto avremo anche un cineforum», si entusiasma. L’ente veneto per il diritto allo studio non potrebbe permettersi niente di simile: ad aprire la residenza di 225 posti letto è stata una società privata che investe nel sociale, Gastameco. Un terzo degli ospiti, come Giacchetto, ha una borsa di studio e spende 110 euro al mese per un posto letto grazie a una convenzione con l’università. Gli altri tra i 330 e i 370. Tra un po’ apriranno anche bar, minimarket e palestra: gli studenti potranno lavorarci ed essere pagati in denaro e servizi.
«Volevamo coprire un vuoto nell’offerta — spiega Andrea Cavanna, amministratore delegato di Gastameco — offrire a prezzi accessibili strutture all’avanguardia, per abitabilità, servizi e anche formazione: i nostri studentati vogliono essere luoghi di cultura». Il prossimo passo è replicare l’esperimento in altre città universitarie, a cominciare da Milano e Bologna. Ma sul lungo termine l’obiettivo è lo stesso dello studente che si è rivolto al microcredito: «Cambiare il mercato degli affitti».
Le conseguenze si farebbero sentire. Oggi, spiegano Sunia e Cgil, la metà degli affitti sono in nero, un quarto dichiarano importi più bassi del reale: fa un miliardo e mezzo di imponibile (e trecento milioni di tasse) sottratti alla collettività.
Il Corriere della Sera 06.12.13