Ma di chi sono i paesaggi, chi può fotografarli? Sindaci e assessori si sdegnano se McDonald’s o Monsanto li usano come sfondo per pubblicità, per giunta senza chiedere autorizzazioni. Il paesaggio, le opere d’arte, i centri storici, hanno dunque un copyright comunale? E chi l’ha detto?
Sarebbe bello, se le pubbliche istituzioni facessero sempre buon uso delle proprie icone-immagine, ma non è così. I bronzi di Riace ridotti dalla Regione Calabria, in un costosissimo spot, a pupazzi che fra mille contorsioni adescano turisti sono più leciti delle foto dei bronzi che reclamizzano la gastronomia locale? E il Consorzio del Prosciutto Toscano fa bene a metter fianco a fianco un prosciutto e il Davide di Michelangelo sotto lo slogan Un capolavoro sulla tua tavola? È una questione di gusti, o un problema di diritti? E chi difende il diritto all’immagine, non lo farà perché vuole esiger balzelli?
Paesaggi e centri storici sono, dice la Costituzione, di tutti. Il vero problema, prima che la pubblicità, è la commercializzazio-ne di tutto: le città toscane informano i turisti che sono in un “centro commerciale naturale”, e così finalmente sappiamo che i nostri avi non costruivano città, ma centri commerciali. Il Ministero dei Beni culturali che (in era Bondi) diffondeva manifesti col Davide (ancora lui) portato via dagli elicotteri, minacciando “Se non lo visiti lo portiamo via” è meglio del Davide-prosciutto?
Per una volta, il discrimine non è tra pubblico e privato. Il punto è l’uso che le istituzioni in primis e i cittadini a seguire (anche le imprese) fanno dei nostri tesori. In Val d’Orcia sarebbero più credibili quando difendono il paesaggio, se non avessero monetizzato l’etichetta di sito Unesco autorizzando a Monticchiello non solo villette a schiera ma la pubblicità che invitava a comprarsele perché “in un sito Unesco”. Di questa mercificazione tutti siamo colpevoli, se non diciamo che città, paesaggi, opere d’arte non sono macchine per soldi, ma strumento di eguaglianza, ingranaggio di un diritto alla cultura che la Costituzione garantisce ai cittadini. E quando (è notizia di questi giorni) sentiamo che il Corridoio Vasariano, passaggio segreto in cui i granduchi andavano da Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti sull’alto di Ponte Vecchio, sarà visitabile a cura di un concessionario (Civita), per cui chi ha diritto all’ingresso gratuito pagherà “solo” 16 euro, il torto è del privato che lucra su un bene pubblico, o dell’istituzione che gli regge il sacco? I lavoratori della Soprintendenza vogliono garantire gli stessi servizi senza costi aggiuntivi, e il ministro Bray li approva via twitter perché «impegnati nella difesa della Costituzione ». Il Corridoio, anzich é «passaggio segreto per gli interessi privati» (Tomaso Montanari), può inaugurare la strada della trasparenza, se ci ricorderemo che su paesaggi e opere d’arte non ci sono copyright. Che i sovrani siamo noi, i cittadini.
La Repubblica 01.12.13
******
Dai cipressi della Val d’Orcia alle Cinque Terre la battaglia dei paesaggi italiani negli spot”, di Laura Montanari
I CIPRESSI di San Quirico d’Orcia come sfondo al panino di Mc Donald’s con l’hamburger di Chianina, i faraglioni di Capri per una Bianca Balti targata Dolce & Gabbana, il cioccolato Novi consumato dai due alpinisti con lo sfondo delle Tre Cime di Lavaredo. La pubblicità va a caccia di bellezze naturali sul territorio e dai territori qualcuno pensa che sia un vantaggio, qualcun altro si arrabbia. L’ultimo in ordine di tempo è stato il sindaco di San Quirico, paese di un’incantevole campagna senese. Roberto Rappuoli si è stancato di vedere la collina con i “suoi” cipressi abbinati ai prodotti più disparati: dai salumi ai ristoranti, dagli alberghi alle acque minerali, dalla multinazionale dell’ogm, la Monsanto, a quella del panino.
«Dal 2011 abbiamo un regolamento che prevede l’autorizzazione per le attività di ripresa fotografica, video e cinematografica, nel caso in cui le immagini siano utilizzate a fini commerciali o pubblicitari, siamo Patrimonio dell’Unesco e vogliamo evitare che l’immagine del nostro territorio abbia un utilizzo non conforme. È sufficiente chiedere l’autorizzazione al Comune compilando un modulo, nel giro di 15 giorni al massimo noi valutiamo la proposta ». Con McDonald’s la guerra è durata poco: è bastato infatti mezzo passo indietro dell’industria dell’hamburger per far rientrare il caso, non sapevano del regolamento e in ogni caso: «Il nostro obiettivo era quello di omaggiare la Toscana e in generale le vallate in cui si alleva la Chianina — ha diffuso in una nota McDonald’s Italia». Non è un problema di soldi o di copyright sul paesaggio, «ma una giusta tutela sul territorio che alcuni sindaci svolgono — spiega Sebastiano Venneri di Legambiente — La pubblicità coglie bene quello che piace alla gente e quando deve abbinare un prodotto a un luogo va a cercare i posti in cui l’ambiente non è stato deturpato». Non c’entra il denaro ma la ricaduta di immagine. Per questo, per esempio, Franca Cantrigliani, sindaco di Riomaggiore in Liguria è intervenuta contro un outlet che usa il nome delle Cinque terre pur trovandosi a chilometri di distanza: «Che tristezza sfruttare il nome di comuni famosi solo per far comprare borse e vestiti» dice. Ad accendere le polemiche è il progetto “Shopinn Brugnato5Terre”, ossia 22mila metri quadrati di outlet in costruzione nella piana di Brugnato, a due passi dall’autostrada. «Mi sembra uno sfruttamento, anche se i nomi delle città e dei luoghi non hanno copyright: un crocerista di Mosca o Tokyo che sbarca a Spezia e in pullman viene portato all’outlet, vedendo il cartello potrebbe pensare che Brugnato è una delle Cinque Terre». In estate, a Palermo, la polemica era scoppiata per un catering che, dopo una discussa cena organizzata per clienti americani al Tempio di Segesta, aveva utilizzato proprio l’abbinamento con quel luogo per una nuova campagna pubblicitaria. La cosa spinse l’assessore regionale Mariarita Sgarlata a intervenire vietando l’utilizzo del tempio imbandito di tavoli. Inciampi, cose che succedono. In rete qualcuno ha criticato pure la pubblicità del cioccolato Novi che utilizzava le Tre Cime di Lavaredo: «È ingannevole, quelle tavolette sono fatte in Liguria» si legge, ma c’è da chiedersi cosa sarebbe lo spot se fosse ancorato al luogo in cui un prodotto nasce. E poi non sempre la pubblicità è sgradita: a Capri per esempio la capitaneria ha vietato per due giorni ancoraggio e balneazione per permettere le riprese ai faraglioni dello spot di Dolce & Gabbana. «Non c’è stato nessun problema» taglia corto il sindaco Ciro Lembo. Sulla stessa linea sempre nel senese, Chiusdino, che ancora ringrazia la Barilla per la scelta del Mulino Bianco: «Adesso quel mulino (che è di un privato) è un agriturismo ben ristrutturato — racconta il sindaco Ivano Minocci — e per anni, quando cominciarono gli spot, arrivavano stormi di turisti nel nostro territorio a visitare il Mulino delle Pile più che l’Abbazzia di San Galgano, quella della spada nella roccia». Potere dell’immagine che è capace di oscurare anche la storia.
La Repubblica 01.12.13