È facile illudersi con la politica italiana, ma l’impressione lasciata dalla sfida televisiva dei tre candidati alla segreteria del Pd è che sia davvero cominciata una nuova stagione. È stato un bello spettacolo, civile, lontano anni luce dal solito pollaio televisivo affollato dalle solite vecchie facce, intristite dall’abuso di potere. Prima di stabilire chi abbia vinto, forse nessuno, bisogna dire che Renzi, Cuperlo e Civati hanno trasmesso insieme l’idea di una nuova classe dirigente alle porte. Non sappiamo quanto vale e neppure che cosa farà. Sappiamo però fin troppo bene quanto valeva chi li ha preceduti, e tanto basta.
Comunque vada il voto dell’8 dicembre, il primo partito d’Italia ha deciso di voltare pagina. Per la verità, l’hanno deciso gli elettori. E questa è ragione di sollievo. Non avremo più a che fare con un gruppo dirigente della sinistra che ha cominciato la sua parabola affossando l’idea dell’Ulivo e il primo governo Prodi, per rimettere in sella il Cavaliere con la Bicamerale. Vent’anni dopo, ha perso elezioni già vinte e ha tradito ancora una volta Prodi, colpevole d’aver battuto Berlusconi due volte su due. Questi, dal 9 dicembre, andranno in pensione. Non soltanto perché lo vuole Matteo Renzi, il rottamatore. Ma perché è finita una stagione, un’epoca maledetta, uno stile e un linguaggio del far politica, e la serata dei tre sfidanti ne è stata la plastica dimostrazione.
Renzi, Cuperlo e Civati sono diversi fra loro, per quanto ieri si siano trovati sorprendentemente d’accordo su molte cose, ma soprattutto sono molto diversi dalla compagnia di giro televisiva della seconda repubblica. Non sono uomini di potere, conducono vite normali, hanno belle facce, conservano un’ingenuità e una passione che sembravano passate di moda. Per una volta, sono politici che assomigliano a chi li vota. Un fenomeno che a sinistra non si vedeva da decenni.
Nel dettaglio, Matteo Renzi aveva il compito più difficile, l’outsider divenuto favoritissimo, ma se l’è cavata bene. Gli avversari l’hanno aiutato, togliendolo dall’imbarazzo di essere il futuro segretario del Pd destinato a far cadere il governo a guida Pd. Alla fine, Civati e Cuperlo sono sembrati più anti governativi di lui. Ottima la battuta sull’inquietante piano di privatizzazioni: «Così è compro oro». Gianni Cuperlo è un intellettuale elegante, scrive meglio di quanto non renda nei dibattiti televisivi. È stato il più chiaro ed efficace nei temi di politica economica, l’unico ad avere il coraggio di dire qualcosa davvero di sinistra sulla patrimoniale. Se riesce a far stare zitti per una decina di giorni fino al voto i suoi ingombranti sponsor, a cominciare da D’Alema, può guadagnare terreno. Pippo Civati è stato la rivelazione della serata, almeno per chi non lo conosce. È un mago di Twitter, bravissimo nelle risposte secche, è dotato di un
sense of humour raro per la categoria (anche Grillo da quando ha fondato un partito non fa più ridere), è il più innovativo nel linguaggio, il più radicale sul tema dei diritti, e per giunta non ha nulla da perdere. Nell’insieme i tre fanno venire voglia di andare a votare, che di questi tempi è un miracolo. Forse è ancora difficile immaginarli come uomini di Stato, impegnati a rappresentare una grande nazione nei consessi internazionali. Ma se si ripensa a quelli che abbiamo mandato in giro per il mondo a rappresentarci in questo ventennio, ogni timore svanisce. Per ora sono già una buona alternativa a una vecchia politica nauseabonda, ma anche a una nuova anti politica da osteria. Non è poco.
La Repubblica 30.11.13