Il passaggio all’opposizione di Forza Italia era annunciato. Ma a nessuno sfugge che la rottura politica di ieri e il voto odierno sulla decadenza di Berlusconi chiudono un capitolo della storia repubblicana. I toni apocalittici del Cavaliere sono una prova della fine del ventennio, che supinamente abbiamo chiamato seconda Repubblica. Mentre gli argomenti usati per contestare la legge di Stabilità appaiono soltanto come le armi improprie della guerra dichiarata contro le istituzioni: il consen- so della destra scagliato contro la legittimità di una condanna passata in giudicato, la legittimazione elettorale contro lo Stato di diritto. Nessun leader di uno Stato occidentale, che ha ricoperto ruoli primari di governo, si è mai spinto fino ad un atto così estremo, così eversivo: chiamare la piazza contro una sentenza, opporsi non solo a un governo o a una maggioranza bensì ai principi fondativi dell’ordinamento. Anche questo è il prodotto dell’anomalia della cosiddetta seconda Repubblica, fondata su partiti personali: ma ciò aggrava la difficoltà di oggi. L’edificio democratico da preservare e ristrutturare ha subìto nel tempo colpi molto forti. E l’azione di Berlusconi giunge nel punto più drammatico di una crisi sociale, grave come mai dal dopoguerra. L’uscita dal tunnel non si vede ancora. Per questo il Cavaliere può trovare alleati nella sfiducia e nella paura.
Certo, nel giorno in cui si volta pagina, potremmo anche raccontarci una storia più consolante. La legge di Stabilità è stata approvata senza l’apporto della destra populista. I popolari europei fanno capire che potrebbero espellere Forza Italia. La maggioranza parlamentare è ora più coesa, e c’è da sperare che non si ripetano più ricatti come quelli sull’Imu (costati un prezzo inaccettabile in termini di equità). Lo stesso Letta si è preso una rivincita nei confronti di quella sinistra radical chic, che descriveva il suo come il governo del «salvacondotto» a Berlusconi. Invece è proprio sulla separazione dei poteri che ha vinto una partita importante e ha diviso la destra. Non era vero – lo scriveva la Repubblica, non solo il Fatto quotidiano – che il governo delle larghe intese fosse l’assicurazione sulla vita del Cavaliere. Le larghe intese non sono mai davvero esistite. E lo stato necessità non abbandonerà il percorso di Letta neppure adesso: è un’illusione, anzi un errore, immaginare che la rottura apra ora la strada a una maggioranza politica. Insomma, i punti che il premier può segnare a proprio favore non sono irrilevanti. Ma sarebbe sbagliato sottovalutare le incertezze del passaggio. L’opposizione di sistema di Berlusconi si sommerà a quella di Grillo e i binari stretti delle compatibilità europee potrebbero impedire al governo di combattere ad armi pari.
Anche Enrico Letta invece dovrà voltare pagina. È una questione di vita o di morte. La stabilità, intesa come continuità della legislatura, è certamente un valore che i mercati e le cancellerie europee giudicano essenziale. Ma se la stabilità diventa mera inerzia, sopravvivenza passiva, si rischia di regalare alle forze anti-sistema un consenso capace, a questo punto, di scuotere la stessa impalcatura istituzionale. Nessuno può pretendere da Letta un cambiamento strutturale delle politiche economiche e sociali: il paralizzante tripolarismo italiano è sotto gli occhi di tutti. Ma ora più che mai la missione di Letta è scavare le fondamenta di un cambiamento futuro. Renderlo possibile attraverso istituzioni finalmente ricondotte all’efficienza (a partire da una nuova legge elettorale) e una politica europea finalmente liberata da direttive recessive e deflazionistiche.
Il traguardo del semestre europeo è la sfida allo sfascismo berlusconiano. Ma non è scontato che il governo lo raggiunga. La partita è apertissima e difficile. Speriamo che nel Pd non ci sia la tentazione di giocare di sponda con il Cavaliere. Ci manca solo qualche apprendista stregone, che pensando di incassare per sé l’intera posta, apra la strada alla destabilizzazione. Tuttavia, bisogna mettere in agenda le riforme. Riforme sociali anzitutto, pur nei limiti delle scarse risorse disponibili. Non basta dire che il lavoro è la priorità. Bisogna dimostrarlo. Ma anche sulle riforme istituzionali è arrivato il tempo di finirla con la commedia degli equivoci. E con la subordinazione all’ideologia della seconda Repubblica. Ad esempio, a proposito di legge elettorale, quando si mette a tema l’insensatezza delle coalizioni preventive? Perché non si dice che in tutti i sistemi democratici del mondo – proporzionali, maggioritari, misti – alle elezioni si presentano i partiti? Vogliamo consentire a Berlusconi di fare l’oppositore del sistema, poi allearsi alle elezioni con il partito di Alfano, prendere magari un premio in seggi, e poi di nuovo dividersi? Il trasformismo post-elettorale è un cancro che il «maggioritario all’italiana» ha coltivato e sviluppato. La risposta democratica a Berlusconi deve essere quella di demolire i suoi miti, non di farli propri proponendo volti nuovi per politiche vecchie.
L’Unità 27.11.13