Anche l’epilogo dell’esperienza, se non politica, almeno parlamentare di Berlusconi conferma che, in questi vent’anni, l’Italia ha visto sulla scena pubblica non uno, ma due Berlusconi. Da una parte, l’uomo di Stato che dialoga con i potenti del mondo come rappresentante e interprete del moderno conservatore europeo. Dall’altra, il rivoluzionario di centro, disinvolto contestatore dei riti e dei miti istituzionali, in nome di un rapporto empatico e diretto con i consensi non tanto dei suoi elettori, quanto dei suoi fan. Un doppio registro che, alternato con una sapiente regia mediatica, gli ha consentito, finora, di tenere insieme le due platee alle quali si è rivolto, quella tradizionale del moderatismo italiano orfano della dc e quella del ribellismo anarco-conservatore, insofferente alle regole di uno Stato considerato sempre come un avversario. Un nemico che non si può abbattere, ma a cui è legittimo sfuggire con ogni mezzo.
Così, questi giorni di vigilia di quella decadenza parlamentare che, stasera, dovrebbe seguire alla sua definitiva condanna penale, hanno manifestato con estrema chiarezza quel modello binario della sua condotta tipico di tutta la sua presenza in politica.
Con una forte accelerazione però dei due atteggiamenti, alternati freneticamente come in un balletto chapliniano. Prima, il leader di Forza Italia ostenta un vittimistico ossequio per le libere prerogative presidenziali sulla concessione della grazia e, subito dopo, passa agli anatemi complottisti e minacciosi contro Napolitano, conditi da veementi attacchi e ingiurie contro il capo dello Stato da parte dei giornali che a lui fanno riferimento. Prima, chiede ai membri del Parlamento, con un appello commosso, il rispetto dovuto a un loro collega, rappresentante, secondo la Costituzione, di tutto il popolo italiano e, immediatamente dopo, si appella a un’imponente manifestazione di piazza come arma impropria di pressione sulle scelte dei senatori che devono deliberare la decadenza. Prima, ricorre a principi del foro come l’avvocato Coppi per seguire le vie maestre del diritto processuale, nella convinzione che, alla fine, la giustizia debba trionfare, riconoscendo la sua innocenza e, poi, dichiara impossibile che la magistratura italiana esprima nei suoi confronti una sentenza di verità.
È probabile, però, che, adesso, questa «partita doppia» sulla quale Berlusconi ha condotto l’equilibristico bilancio della sua esperienza politica sia alla conclusione, proprio per l’impossibilità di tenere insieme quello che è sempre riuscito a tenere insieme. Come se, in epoca pre digitale, l’affrettato ritmo di quel film chapliniano potesse preludere alla rottura della pellicola. Per la prima volta, infatti, l’esasperazione del caso personale rispetto alle sorti di quel popolo di cui Berlusconi è sempre riuscito a rappresentare paure e speranze, desideri legittimi e aspirazioni inconfessabili, rischia di rompere il circuito magico che ha costantemente legato il destino del leader a quello della composita maggioranza degli italiani che in questi anni l’ha votato.
Se questa ipotesi avesse il conforto degli avvenimenti nei prossimi mesi, la divisione tra «lealisti» e «diversamente berlusconiani» non rappresenterebbe, come pure è stato giustamente osservato, un aggiornamento partitico del suo tradizionale metodo, quello, appunto, del doppio registro, moderato e radicale, ma il segnale di una sua ormai insanabile rottura. L’estromissione di Berlusconi dal Parlamento potrebbe costituire, perci ò, il simbolo dell’impossibilità di inserire e far valere nelle istituzioni dello Stato il ribellismo antipolitico e pararivoluzionario che cova, nel profondo, una parte importante del suo elettorato.
Si spiegherebbe, così, l’opposizione disperata del leader di questa nuova, ma molto diversa, «Forza Italia» alla sua decadenza da senatore, un’eventualità che non può essere paventata solo dal timore, senza lo scudo dell’immunità, di un improbabile arresto. Tra l’altro, proprio i leader che più recentemente si sono affacciati sulla scena pubblica, Grillo e Renzi, hanno dimostrato come si possa far politica, e farla efficacemente, fuori dagli scranni delle due Camere. Berlusconi, che certo non sfigura al confronto carismatico con i due probabili futuri suoi competitori, potrebbe avvantaggiarsi, anzi, da una posizione extraparlamentare che gli lascerebbe la massima spregiudicatezza propagandistica. Forse la sua accanita battaglia per conservare il più possibile il suo posto a palazzo Madama indica la consapevolezza, più istintiva che razionale, della necessità di prolungare il più possibile lo straordinario miracolo del ventennio berlusconiano, quello di non spaccare la doppia anima del moderatismo italiano a cavallo del secolo. E con quella, anche la sua.
La Stampa 27.11.13