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“Basta con gli stereotipi: la lotta alla violenza comincia così”, di Mila Spicola

Da Duino a Lampedusa ci saranno iniziative, manifestazioni, eventi. Dovrei essere soddisfatta per come la «questione» non sia più negata, minimizzata o rimossa, come accadeva fino a pochissimo tempo fa. Rimane ormai solo Vittorio Feltri a dichiarare come un centinaio di vittime di femminicidio siano «statisticamente irrilevanti», anche lui lo è. Eppure sono perplessa perché sento che siamo pronte a un cambio di passo ma non so se il verso mi convinca più di tanto. La violenza sulle donne nasce da uno stereotipo, anzi, anche lo stereotipo lo è, un atto violento, che costringe in gabbie di ruolo uomini e donne e contro lo stereotipo non vedo prese di posizione o battaglie, vedo solo conferme, soprattutto dai mezzi di comunicazione e informazione. Parrebbe dunque che l’angolo in cui viene relegata la donna pestata dalle foto del racconto collettivo sulla violenza di genere stia diventando esso stesso stereotipo potente, capace ahimè di peggiorare le cose piuttosto che sanarle, di aprire un abisso ancor maggiore tra uomini e donne, mi viene il dubbio che dalla rimozione del problema oggi si stia arrivando a una consapevolezza errata del problema che nulla di nuovo dice sui diritti delle donne: siamo ancora alla fase donna debole da difendere? Donna in pericolo rimani a casa la sera? Stiamo equivocando una debolezza femminile tutta da dimostrare: le donne oggetto di violenza sono per lo più donne forti e autodeterminate, ed è questo che viene avversato da chi le colpisce. Il recente decreto contro il femminicidio è stato centrato più sulla tutela e la pena (necessarie, nessuno lo nega) che sulla necessaria e inderogabile prevenzione, anche e soprattutto di tipo educativo. Quando si dice educazione subito si pensa alla scuola, meno alla famiglia e meno che mai alla società intera. No, non è facile da comprendere né da praticare la lotta agli stereotipi a cominciare da noi adulti quando tutto rema contro e anche la donna pestata, in modo sottile, lo è diventato uno stereotipo. E sono stereotipi immensi la debolezza femminile e la forza maschile. Mi sembra che il racconto delle violenze sia così ossessivamente monocolore da aumentare tali stereotipi. Da ogni angolo arriva la determinazione che solo con cultura ed educazione si possono mutare linguaggi e comportamenti, perché «i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», diceva qualcuno, eppure poco cambia. I giornali sono pieni di donne accucciate nell’angolo con l’occhi pesto e di uomini neri ripresi alle spalle, di «babysquillo» e di mamme discutibili, di donne da difendere persino dalle altre donne, molto meno di facce di criminali che hanno ammazzato le donne, da papà assenti, appunto, o da utilizzatori finali di sesso a pagamento. Eppure le statistiche ci forniscono l’incredibile numero dei 9 milioni di maschi italiani adulti che il sesso lo pagano. A prescindere dalla libertà personale e leggittima, tale cifra non preoccupa nessuno? Nessuna redazione vuol metterla in prima pagina? O lo stereotipo è e rimane quello che il sesso è colpa per le donne, che lo vendono, ma tutta salute per gli uomini che lo comprano? Che la provocazione sia donna e la vittima sia il provocato? Ne parliamo? E che femminicidi, violenze, entità della prostituzione, discriminazioni di ogni genere, omofobia, sono legati da un filo sempre più stretto e visibile? E disegnano ormai non tanto una questione femminile ma un’abnorme questione maschile, un abnorme equivoco collettivo, di cui nessuno parla? Non muti tutto ciò coi decreti dei delitti e delle pene, ma con rieducazione degli adulti, non solo dei nostri figli o figlie. Siamo tutti generatori automatici di stereotipi sessisti e ci stupiamo, ci indigniamo che i ragazzi imitino? Acclamare come lecito l’uso mercificato del corpo. L’uso del corpo attiene alla libertà, vero, ma sul “mercificato” in quanti si interrogano sul serio? Eppure il corpo è sacro quanto la persona. Lo è per l’uomo allo stesso modo di quanto lo sia per la donna? Mi sembra che il corpo maschile oggi sia più sacro di quello delle donne o sbaglio? Concetti difficili da far comprendere al direttore di un quotidiano, all’amico con cui discutiamo, figurarsi a un adolescente. Cosa voglio dire? Che la lotta alla violenza di genere deve iniziare dalla lotta agli stereotipi di genere e da un confronto adulto su questi temi che ci riguardi tutti. Subito. Con ogni mezzo. Vogliamo iniziare dalle scuole? Se da qualche parte si deve iniziare, cominciamo da lì. È stata accolta dal governo l’indicazione di adottare un codice antisessismo e di rimozione degli sterotipi nei libri di testo nelle scuole, il codice Polite per il quale ci siam battute strenuamente per 20 anni. E dunque? Le case editrici lo sanno? Una circolare è stata inviata alle scuole? Una comunicazione a chi scrive i libri? Non mi pare. Cosa aspettiamo? E poi: è possibile stringere un patto sano tra stampa, tv e Paese sui temi che riguardano la comunicazione e la rappresentazione delle donne? Attenzione: nulla da imporre, ma tutto da riconsiderare. Non per limitare ma per riequilibrare un racconto sbilanciato e falsato. Il vero «problema» è l’autodeterminazione e la libertà delle donne? Qualunque sia l’ambito: professionale, culturale o sessuale. Persino sull’aggettivo libera, messo accanto a donna carichiamo equivoci e immaginari antichi, inutile negarlo. Ancora oggi la libertà delle donne è un boccone amaro per gli uomini, soprattutto quella sessuale e via via tutte le altre; altro che stereotipi, abbiamo statue di bronzo. Io dico, viva l’autodeterminazione delle donne, contro la violenza. E anche uno stereotipo lo è.

L’Unità 25.11.13