«Il grande problema della Sardegna è l’uso sconsiderato e incondizionato del territorio, senza alcuna preoccupazione per le conseguenze che derivano da certi interventi non solo edilizi. Colpa di una mancanza di una cultura diffusa, soprattutto da parte della classe politica. Da questo punto di vista si può dire che la Sardegna sia stata colpevolmente dimenticata. E anche consapevolmente, per i grandi appetiti immobiliari che suscita… Da sempre arriva molto denaro per costruire sulle coste, ora ne è in vista tanto dai Paesi Arabi…».
Il professor Angelo Aru, 83 anni, è il decano dei geologi sardi, autore negli anni 90 della Carta dei suoli della Sardegna e del progetto Medalus sulla desertificazione dell’isola, ma ha lavorato anche in Somalia, Venezuela e Cina. Sarà uno dei principali relatori del convegno «Sardegna domani!» organizzato dal Fai, Fondo Ambiente Italiano, a Cagliari per giovedì 28 novembre. L’età non gli impedisce una straordinaria capacità di analisi e una invidiabile prontezza nel citare dati, errori, omissioni.
Il professor Aru non è il tipo da prendersela «solo» con l’acqua caduta dal cielo: «Queste piogge convettive scaricano una immensa massa d’acqua in spazi di solito più vasti di quanto sia accaduto in queste ore. Ma non sono eventi straordinari, a mia memoria si sono verificati diverse volte. Il punto è l’uso, anzi l’abuso, del territorio: privo di programmazione e di attenzione verso le leggi naturali che lo regolano. Si costruisce ovunque, in particolare sulle aree di recenti alluvioni ai lati dei fiumi».
Ed è facile capire dove sia il vero pericolo secondo il professore: «Quelle aree rappresentano le casse di espansione di un corso d’acqua. Dovrebbe essere rigorosamente vietato costruire lì. Invece non si fa altro. Ed è una follia, lo vediamo proprio nel caso delle alluvioni» In pi ù c’è un aspetto non secondario. Ovvero la questione della fertilità: «Le zone alluvionate diventano le migliori aree agricole possibili. Conservarle sarebbe di immensa importanza strategica per l’economia della nostra regione. Nel mondo cresce la popolazione e diminuiscono le zone coltivabili. Invece, si ricorre solo al cemento, quando l’agricoltura sarà l’investimento del futuro.». E nemmeno l’esperienza sembra servire.
Prendiamo il caso dell’alluvione del 1999 a Capoterra, a 17 chilometri da Cagliari. Il professore è indignato: «Hanno continuato a costruire nella zona delle recenti alluvioni dimenticandosi che i bambini delle scuole in quell’area non morirono annegati solo perché l’ondata di piena si annunciò con anticipo.»
Seguendo il ragionamento e gli studi di Aru si scopre, per esempio, che persino la pastorizia può provocare un gravissimo danno all’equilibrio geologico. Anche qui siamo nell’ambito delle scelte politiche sbagliate. Per aumentare artificialmente le superfici a pascolo, si consentono arature anche a quote elevate e su aree in pendenza. Bisogna ricordarsi sempre che i suoli, così come si offrono in natura, sono i migliori regolatori dei deflussi a valle delle acque meteoriche. Quando si distrugge l’ecosistema montano, appunto arando la superficie, si mette a nudo il suolo minerale e si distrugge la sostanza organica originaria. E così il coefficiente di deflusso delle acque aumenta a dismisura, con tutto il materiale che viene trasportato».
Quindi erosione del territorio, perdita delle sue caratteristiche organiche, frane e smottamenti a valle. E nemmeno i rimboschimenti funzionano sempre bene, tanto per sfatare uno dei mille luoghi comuni che circondano la questione ambientale. Spiega il professore: «Molto spesso si ricorre a essenze resinose non adatte all’ambiente ecologico, che faticano a crescere e non risolvono il problema del territorio. Non si può collocare qualsiasi pianta ovunque. La biodiversità ha delle regole da rispettare»
E naturalmente c’è il problema dei problemi, in un’isola in cui il 96.7% del territorio non è edificato ma dove il 57% delle costruzioni totali riguarda la sola area costiera: case vacanze spesso vuote per mesi e mesi. Il professore propone un esempio tra i tanti: «Penso all’agglomerato di Costa Rei, a Villasimius. Un insieme di costruzioni assolutamente privo di una logica urbanistica in cui l’eccesso di cemento ha obliterato tutti gli sbocchi dell’acqua, come impongono le leggi naturali. Perché l’acqua ha sempre bisogno della sua strada. Lo vediamo drammaticamente in queste ore…»
Il Corriere della Sera 20.11.13