Chi non prova emozione, davanti alla lapide esposta sulla piazza di Ventotene? Quando infuriava la guerra più sanguinosa della storia, gli antifascisti esiliati sull’isola sognavano un’Europa unita, e la lapide ricorda il loro nobile auspicio: l’Europa unificata, gli Stati Uniti d’Europa, tesi verso ideali di civiltà e di benessere. Ma l’unione europea non è stata soltanto, attraverso gli anni, il sogno di alcuni intellettuali: è stata anche un progetto politico, per fronteggiare le insidie e i pericoli che ci minacciavano. Uno storico inglese, Brendan Simms, in un libro uscito proprio in questi giorni con un titolo laconico,
Europe, rievoca le vicende di due grandi disegni che miravano alla creazione di una federazione europea, il primo sul terreno militare, con la Comunità di difesa, il secondo, ancora in atto, sul terreno dell’economia, con l’euro. Entrambi i progetti sono nati per fronteggiare grandi minacce, nel primo caso di natura politica, l’aggressività dell’imperialismo sovietico, nel secondo di natura economica, la concorrenza degli americani, dei cinesi, del Terzo mondo. Ma l’esercito europeo è morto prima di nascere, non ha mai visto la luce, e l’euro è rimasto a met à strada, ha vita grama. Perché? La risposta è facile. L’Europa è un gran bel sogno, è un nobile ideale, e quel manifesto di Ventotene è una sua nobile testimonianza, ma il progetto di federazione europea è troppo ambizioso per diventare realtà: è il sogno di idealisti piuttosto che una possibilità concreta. Non credo che sia mai successo nella storia che singole comunità nazionali si siano unificate volontariamente, per dare vita a un grande superstato, attraverso pacifiche operazioni diplomatiche. Come non riuscirono a unificarsi, nell’antichità, le città-stato elleniche, che aspiravano a fronteggiare la potenza romana, così non riescono a unirsi in una federazione, oggidì, gli Stati europei. Le federazioni fra gli Stati, quando avvengono, sono il risultato di eventi tumultuosi, di guerre (lacrime e sangue, disse Bismarck), non di decisioni prese intorno a un tavolo con un pacifico negoziato; e sempre presuppongono che uno Stato prevalga sugli altri, che li annetta. Così è stato anche quando esistevano affinità di lingua e di cultura: pensiamo agli Stati Uniti d’America, che nonostante le tante affinità fra Nord e Sud poterono nascere solo attraverso una guerra. Tanto più improbabile è il sogno di una federazione europea che ambisca a riunire tedeschi, inglesi e francesi, cioè popoli di fisionomia ben diversa l’uno dal-l ’altro, per non dir nulla, come un politologo osservava ironicamente qualche giorno fa, di italiani e finlandesi, che appartengono a mondi diversi.
Tutto chiaro, si direbbe. Eppure uomini politici e commentatori continuano ad auspicare con bella costanza la federazione europea, come se fosse solo questione di buona volontà e di pazienza: qualche riunione e il gioco è fatto. Ancora pochi giorni fa, il nostro presidente del Consiglio, Enrico Letta, indicava negli Stati Uniti d’Europa la terapia dell’euro, come se fossero dietro l’angolo. Solo negli ultimi giorni, finalmente, qualcuno ha trovato il coraggio di ammettere che la federazione europea è un sogno irrealizzabile. Era tempo. Perché inseguendo un obiettivo impossibile si perde tempo, e il tempo è prezioso. La crisi che imperversa, e investe tutti i continenti, esige provvedimenti immediati: in Europa più ancora che altrove, perché l’euro, nonostante gli alti e bassi, è in difficoltà.
Un’immagine apparsa di recente sulla copertina dell’Economist rende l’idea: gli statisti europei, tenendosi sotto braccio, corrono ridendo verso il precipizio, ignari del pericolo che incombe. Angela Merkel, cancelliere tedesco, guida senza rivali il suo paese, che soffre meno degli altri, non è assillato da problemi urgenti. Intanto, la deflazione fa vittime sul continente, la situazione peggiora. Disoccupazione, fallimenti: corriamo ignari verso il precipizio. Crescono i movimenti non solo contro l’euro, ma contro l’unione europea: forse avremo fra qualche mese un parlamento europeo con una maggioranza antieuropeista. Sono destinati a crescere i movimenti populisti: Beppe Grillo è l’esempio di casa nostra. Ma vi sono provvedimenti politici e finanziari, meno ambiziosi della federazione ma più incisivi di quelli adottati finora, che possono contrastare la deriva, arginarla; è possibile creare strumenti finanziari supernazionali, e dotarli di vasti poteri, senza aspettare la federazione che non verrà mai.
Lasciamo da parte i sogni di federazione, che possono solo distrarci dalla realtà: i governi degli Stati europei devono tenere i piedi per terra, e agire con provvedimenti attuabili, sempre più urgenti. Se i tedeschi, che sono al centro dell’Europa, temporeggiano, bisognerà svegliarli.
La Repubblica 20.11.13