In teoria dovrebbe servire ai ragazzi per orientarsi meglio. E per avere un primo approccio con il mondo del lavoro. Del resto, «laddove è stata introdotta», l’esperienza funziona. Nella pratica, però, è una realtà che stenta a decollare. E coinvolge ancora pochi studenti. Per non parlare dell’occupazione, un tema che «non è visto come parte integrante del percorso formativo».
Alternanza scuola-lavoro, nuovo capitolo. A certificare che la strada è ancora lunga sono i dati elaborati da Indire per il ministero dell’Istruzione. Cifre e analisi che saranno presentate dal ministro Maria Chiara Carrozza giovedì al «Job&Orienta 2013» di Verona.
I numeri, innanzitutto. Dicono che nell’ultimo anno scolastico gli studenti coinvolti dall’alternanzascuola-lavoro sono stati quasi 228 mila. In aumento rispetto ai 189 mila del 2011/2012. Ma comunque pari all’8,7 per cento — meno di uno su dieci — tra tutti gli iscritti alle scuole superiori. Se poi si va a guardare più da vicino i percorsi formativi, l’alternanza l’hanno fatta poco più di due liceali su cento, il 6,3 per cento degli studenti degli istituti tecnici e il 28,3 per cento dei giovani dei professionali. Aumentano, negli anni, anche le scuole superiori che hanno attivato il percorso: l’ultimo anno erano 45 su cento. Segno più anche per le strutture che hanno accolto gli studenti: quasi 78 mila, di cui sei su dieci sono imprese.
«I dati indicano che si sta andando nella giusta direzione, proprio perché l’alternanza è utile», commenta Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli. Ma aggiunge anche che «non è ancora abbastanza». Soprattutto in un sistema scolastico, come quello italiano, «dove l’astrazione viene preferita alla praticità». E infatti i problemi arrivano quando si entra nel mondo del lavoro. «Al netto delle difficoltà congiunturali — racconta Gavosto — molti direttori del personale si lamentano di avere a che fare con ragazzi disorientati, che non hanno idea di come si sta in un’azienda o di come ci si comporta con capi o colleghi».
Insomma, l’alternanza non serve soltanto ad avere le idee più chiare per il futuro, ma anche a capire come muoversi in un’impresa. Per questo Daniele Checchi, docente di Economia politica all’Università Statale di Milano, sostiene che «l’alternanza fa sicuramente bene soprattutto a livello culturale. Il vero problema, però, è il “come” questa attività viene organizzata». E sul «come» il professor Checchi ha molti dubbi. «In Italia si tratta di attività che durano qualche giorno o addirittura qualche ora: come fa un ragazzo ad avere un assaggio del mondo del lavoro in così poco tempo?».
Ed ecco che torna alla ribalta l’idea di copiare il «modello tedesco», un sistema che unisce formazione scolastica e apprendistato in azienda. Con risultati soddisfacenti, se è vero che tra il 50 e il 60 per cento degli studenti poi viene assunto. «Ma attenzione — avverte Checchi — non possiamo adottare quel meccanismo “a pacchetti”: o si prende tutto, e allora si interviene anche sull’organizzazione delle scuole superiori, o non funziona». Il «modello tedesco» non dispiace ad Andrea Gavosto: «Ma non sono così sicuro di voler spingere un ragazzino a dover scegliere già a 11 anni cosa fare da grande. Meglio una forma “ibrida” che dia la possibilità al giovane di scegliere all’interno dell’anno scolastico di fare alcune materie pratiche».
Il Corriere della Sera 19.11.13