Anche i notai, nel loro piccolo, si irritano. Di fronte a una politica assolutamente incapace di venire a capo di questioni importanti, come il regime delle unioni di fatto, e visto che di una nuova legge su questo fronte non se ne vede traccia, il consiglio nazionale del notariato ha deciso un’iniziativa eclatante: il 30 novembre, sabato, in ogni capoluogo di provincia il locale consiglio distrettuale del notariato terrà le porte aperte ai cittadini per spiegare il senso e i vantaggi dei contratti di convivenza. L’hanno chiamato «Contratti di convivenza Open Day». Vuole essere una giornata di provocazione.
Il contratto di convivenza non sostituirà mai un «Pacs» o un «Dico». Più banalmente, il contratto di convivenza è uno strumento poco noto che è già previsto dalle leggi e che può servire a una coppia di fatto per regolamentare alcune materie di reciproco interesse: l’acquisto di beni in comune, la gestione delle spese ordinarie e straordinarie, la disciplina dei doni ricevuti, i rapporti economici e patrimoniali, eventuali diritti maturati dalla coppia di fatto. Con il contratto di convivenza si possono poi regolare anche le incombenze e i reciproci diritti in caso di convivenza che finisce e la disciplina relativa alla casa dove si vive. A quale membro della coppia “scoppiata” assegnare l’abitazione in caso di separazione, ad esempio.
Il contratto di convivenza non regolamenta, invece, e non potrebbe essere altrimenti non essendoci la legge, né i diritti ereditari, né i cosiddetti diritti «indisponibili». Esempio classico, l’educazione e il mantenimento dei figli. Ovviamente, ogni clausola inserita nel contratto di convivenza che sia contraria a prescrizioni di legge è nulla.
Il limite principale del contratto di convivenza, come spiega la dottrina, è nella sua natura atipica. Non può essere impugnato davanti a un magistrato. Nel caso in cui un convivente s’impegni a una data spesa, per dire, e poi non mantenga la parola, è impossibile ottenere dal tribunale il rispetto di quanto previsto dal contratto di convivenza.
Detto tutto ciò sui limiti di questo tipo di contratto, resta il valore politico e culturale della «provocazione» dei notai italiani. Il 30 novembre apriranno le porte dei loro uffici di rappresentanza perché i cittadini conoscano almeno quel poco che si può fare con le leggi che già esistono.
Ma è almeno un anno che i notai richiamano la politica alla necessità di intervenire su questo fronte dei nuovi diritti. In un congresso tenutosi a Napoli nel 2012, il consiglio nazionale del notariato ha addirittura presentato una proposta di legge per istituire i «patti di convivenza». Nulla di scandaloso. Anzi, a giudizio dei notai è stata proprio la carica di rottura che c’era nei ddl sui Pacs o sui Dico, e cioè la questione delicatissima dei rapporti gay, che ha portato alle guerre ideologiche tra destra e sinistra e quindi, in ultima analisi, alla paralisi legislativa. Con i «patti di convivenza», i notai proponevano qualcosa di molto più semplice e inoffensivo per la morale e la politica: i patti sarebbero stati sottoscritti dalle parti per regolare i rapporti economici in forma di scrittura privata, sarebbero stati autenticati dal notaio e da quest’ultimo registrati presso un Registro nazionale dei patti di convivenza e all’anagrafe del Comune di residenza, stabilendo le proprie volontà nel caso di rottura della convivenza oppure in caso di morte.
Di questi «patti di convivenza», come i notai li avevano ipotizzati non se n’è più parlato. Il classico buco nell’acqua. E ora il consiglio nazionale del notariato riparte alla carica.
La Stampa 13.11.13