Italia e Germania hanno un importante tratto in comune: tra gli elettori acquistano sempre più peso gli anziani. È naturale che gli anziani si preoccupino del patrimonio e della pensione più che del lavoro e dell’impresa. Così in Italia si parla troppo di tasse sulla casa, e meno di altre tasse. Invece in Germania meno famiglie possiedono la casa, molte hanno il risparmio investito in assicurazioni vita e fondi pensione: il calo dei tassi Bce è impopolare, perché ne fa calare i rendimenti.
Su questo fanno poi leva interessi finanziari che guadagnano dal prolungarsi della crisi dell’euro, e ostacolano Mario Draghi quando tenta di risolverla.
La caratteristica comune spinge dunque i due Paesi in direzioni opposte, e aggrava le incomprensioni. Ai tedeschi pare insensato cancellare l’Imu, irresponsabile non mettere mano a tutto quello che non funziona nel nostro Stato. A noi – ma anche ad altri – sembra assurdo che la Germania protesti contro il basso costo del denaro, aiuto importante per uscire dalla crisi.
Forse è l’anteprima di problemi che investiranno tutti i Paesi avanzati. Lo spunto italiano fa prevedere a Tyler Cowen, brillante economista liberista, che anche negli Usa prima o poi il dibattito politico si concentrerà sulle tasse patrimoniali, pur se per ragioni diverse: come via per correggere le crescenti disuguaglianze generate da un’economia più dinamica (il nuovo sindaco di New York ci sta pensando).
In Europa, dove la crescita langue, le ragioni del patrimonio – abbondante, accumulato in decenni di benessere – possono contrastare con quelle della produzione. Ci ragiona anche il Fmi. Se si vogliono chiamare a raccolta tutte le risorse disponibili per rilanciare lo sviluppo, occorre che contribuiscano anche le ricchezze non direttamente impegnate nelle imprese. Però le resistenze saranno forti.
Può darsi che una collaborazione tra sinistra e destra serva ad affrontare in modo equilibrato la sfida nuova. Tuttavia, se confrontiamo la contesa sulla legge di Stabilità con le trattative per una nuova «grande coalizione» a Berlino, il parallelismo tra i due Paesi in gran parte cade. Sono rare le somiglianze: ad esempio, come il Pd chiede di modificare la riforma Fornero votata due anni fa, i socialdemocratici si pentono di aver detto sì all’aumento a 67 anni dell’età di pensione durante la precedente esperienza di governo con Angela Merkel.
Nell’insieme, i due grandi partiti tedeschi stanno confrontando solide ragioni di destra con solide ragioni di sinistra. I socialdemocratici vogliono aumentare le tasse ai ricchi per finanziare istruzione e ricerca; propongono un salario minimo per proteggere i più deboli. I cristiano-democratici hanno promesso di non aumentare le tasse; temono che un salario minimo danneggi le piccole imprese e scoraggi le assunzioni.
Lasciamo stare che agli occhi del resto del mondo – e del Tesoro Usa in prima fila – sarebbe bene accontentare entrambi: niente aumenti di tasse e più spese sociali. Nella terribile asimmetria causata insieme dalle difficoltà dell’euro e dall’eredità del passato, il bilancio pubblico tedesco offre spazi che la politica tedesca esita ad usare, il bilancio italiano obbliga al rigore pur se i nostri partiti fanno a gara nel dimenticarselo.
Trovare qualcosa per i giovani è arduo, dentro il diluvio di emendamenti presentati in Senato. Dei 4 miliardi di maggiori spese per il 2014 solo la metà può forse essere utile per la crescita; i partiti premono per nuovi oneri finanziati con espedienti. Ed è in nome di questo che si vuole convincere l’Europa a concederci deroghe? Come se non bastasse, c’è Beppe Grillo che promette il Paese della cuccagna.
La Stampa 10.11.13