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“Una giungla di norme variabili che alimenta la fuga di cervelli”, di Stefano Paleari*

Le fasi della crisi sono ora chiare: finanziaria, economica, occupazionale e, da ultimo migratoria. Le statistiche recenti sulla disoccupazione in Italia sono da capogiro: 12,5% con un picco del 40,4% per quella giovanile. Fra non molto anche le statistiche sui giovani fuggiti all’estero certificheranno questa accelerazione anche se, chi vive in mezzo ai giovani come in Università, tocca da tempo con mano l’intensità crescente di questo fenomeno: richieste da parte degli studenti di esperienze all’estero che da temporanee diventano permanenti, dottori di ricerca che trovano in pochi giorni una posizione in Università e centri di ricerca stranieri, ricercatori che a fronte di concorsi italiani di durata e architetture imprecisate vengono chiamati da prestigiose Università oltre confine. E, infine, nelle discussioni con le famiglie della cosiddetta middle class, l’idea per i propri figli di immaginare un futuro fuori dall’Italia. Con il Sud che subisce una doppia migrazione: verso il Nord e fuori confine. È difficile accettare questo epilogo, non solo per la “generazione di mezzo” a cui appartengo ma per tutti coloro che hanno ancora a cuore le sorti del nostro Paese. Tra l’altro, il prezzo finale di questa “fuga” è un impoverimento progressivo e palpabile del Paese, che è culturale e sociale oltre che economico. Rispetto a pochi anni fa sorprende, ripeto, l’intensità crescente del fenomeno come, del resto, la chiarezza delle cause.
Eppure, questa consapevolezza non sembra avvertita adeguatamente, continuiamo a ballare sul Titanic; lo dimostrano le modalità con le quali continuiamo a muoverci su vari fronti. Leggi nuove che si sovrappongono alle vecchie creando una vera e propria giungla di norme, sempre soggette a contestazioni e interpretazioni; un quadro incerto che non permette alcun tipo di pianificazione; una moltitudine di livelli decisionali che nei fatti svuota qualsiasi funzione di indirizzo politico; tempistiche provocatorie per un qualunque giovane intraprendente e di buone capacità; perseveranza nel ritoccare al margine quando è l’intera impalcatura dello Stato a dover essere ripensata; una canea di stratificazioni lobbistiche di basso profilo mantenute per tutelare i privilegi a danno dei meno fortunati. E, ma non meno importante, il confronto, la comparazione con quello che accade altrove, vicino all’Italia e anche molto lontano in Paesi meno ricchi del nostro. Già, perché i nostri giovani viaggiano, guardano, misurano e decidono. L’Italia appare come quei Paesi dell’impero sovietico prima della caduta con l’aggravante di avere istituzioni tremolanti e confini totalmente permeabili. Diciamolo senza peli sulla lingua: un Paese sfasciato.
L’ultima vicenda che riguarda le Università è emblematica al riguardo. Il Ministero che stanzia durante la conversione del decreto sulla Scuola e sull’Università, 42 milioni di fondi propri (circa lo 0,5% del totale) da destinare alle Università in proporzione ai punteggi ottenuti nella valutazione della ricerca (realizzata per la prima volta da un’agenzia indipendente) e la ragioneria che respinge la proposta e tutto decade, malgrado la stessa provenisse dal Governo e dal Ministro dell’Università. Il risultato è che, a due mesi dalla fine dell’anno, non solo le Università non conoscono ancora quale sarà lo stanziamento dello Stato per il loro funzionamento ma quel che è certo è che tutte subiranno gli stessi tagli, indipendentemente dalle loro performance di ricerca. Insomma, quelle che hanno fatto meglio si dovranno accontentare dello stesso trattamento di quelle che hanno fatto peggio. E intanto il Paese sprofonda nella sfiducia e nell’inganno prima ancora che nelle sue fondamenta economiche.
Viene in mente l’ultima sulla fuga dei cervelli: una dottoranda che a un convegno viene contattata da una società norvegese; dopo pochi giorni riceve una proposta di lavoro a cui rispondere entro una settimana. E, infine, la presa di servizio. È il mercato bellezza? No, questa è semplicemente serietà, senso del confronto e ascolto. Quell’ascolto che il nostro Paese sommerge con un assordante silenzio mentre saluta le sue forze migliori.

*Presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane)

Il Sole 24 Ore 03.11.13

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Tagli all’Università, la risposta «Per ora non c’erano alternative»

«Al momento non c’erano alternative». È la risposta di Manuela Ghizzoni, relatrice in quota Pd del decreto sull’istruzione, alle considerazioni di Stefano Paleari. Il rettore dell’Università di Bergamo, in qualità di presidente della Crui, la Conferenza dei rettori, sul provvedimento appena approvato dalla Camera – e da dove sono spariti i 41 milioni di euro destinati agli atenei più virtuosi – non ci è andato leggero.

«Un’operazione gestita con pessima sensibilità politica», aveva commentato ieri dalle pagine del nostro giornale. Ma uno spiraglio la relatrice del Pd lo lascia aperto, o meglio rilancia la palla a Palazzo Chigi: «Credo che di fronte ad una forte unità d’intenti, tra gli atenei italiani e i parlamentari sulla proposta del ministro Carrozza, forse la questione potrebbe essere risolta con un impegno diretto dello stesso premier».

Mondo politico e mondo universitario, secondo Manuela Ghizzoni, non sono in contrasto. Anzi, ne è sicura l’onorevole, «insieme stanno sostenendo le stesse istanze», nonostante le perplessità avanzate dal rettore dell’ateneo bergamasco. «Non mi interessa polemizzare con il presidente della Crui – spiega Ghizzoni – anche perché, ripeto, ha detto cose condivisibili e di buon senso. Ma noi non potevamo fare diversamente».

da www.ecodibergamo.it