Il fisico americano Brian Greene sostiene che l’universo non sia figlio unico. Oltre a quello che conosciamo (o meglio, che conosciamo in minima parte) ci sarebbero altri otto fratelli, chiamati universi paralleli, di cui non sappiamo e non sapremo mai nulla. Difficile dire se la teoria abbia un fondamento o sia il trastullo di un geniale scienziato. Abbiamo però il sospetto che quell’idea, vera o falsa che sia, possa diventare un efficace strumento per comprendere quanto accade da anni in Italia.
Non è necessario essere astrofisici o premi Nobel per capire che nel nostro Paese ci sono due realtà, due mondi che corrono paralleli come i binari di un treno. Nel primo, il mondo di B, c’è un signore condannato a quattro anni per frode fiscale che anziché togliere gentilmente il disturbo annuncia urbi et orbi di volersi candidare per governare il Paese. Nel secondo, il mondo di I, ci sono 3,2 milioni di persone che hanno perso il lavoro, altri che stanno per perderlo e un esercito di giovani (quattro ogni dieci) che se le cose non cambieranno presto, un lavoro qualunque lavoro non lo troveranno mai.
Nel mondo di B si discute e si litiga, ma non sul fatto che un premier abbia potuto approfittare del suo ruolo istituzionale per non pagare le tasse al Paese da lui governato (non lo diciamo noi, ma la Corte di Appello di Milano): si discute e litiga sul tipo di voto che dovrà decidere se quel signore sia ancora degno di rimanere sulla poltrona di senatore. Nel mondo di I non si discute e non si litiga, ma intanto le persone in povertà assoluta (niente casa, niente cibo, niente vestiti) sono raddoppiate in cinque anni: erano 2,4 milioni nel 2007, sono diventate 4,8 milioni nel 2012, come dimostrano le file sempre più lunghe davanti alle mense della Caritas.
Vogliamo continuare? Una delle discussioni più appassionate, nel mondo di B, riguarda la figlia del signore condannato a quattro anni, perché non potendo candidarsi lui (lo dicono una legge e una sentenza) potrebbe almeno candidarsi lei, garantendo continuità sia al partito che al marchio di fabbrica. Ma lei non vuole, o forse sì. Però no.
In attesa di questi avvincenti sviluppi, nel mondo di I si fanno i conti con un Pil che dopo mesi di tracollo sta dando lievi segni di ripresa. Poca roba, intendiamoci, ma proprio per questo bisognerebbe fare il possibile perché il flebile respiro non vada perduto ma incoraggiato. Ci vorrebbe una terapia choc, come ha detto Guglielmo Epifani all’Unità. Ci vorrebbero un piano per il lavoro, una riforma delle istituzioni e una riorganizzazione del Paese. Si potrebbero accorpare i Comuni più piccoli, superare le Province, ridisegnare i confini di alcune Regioni con l’obbiettivo di ridurre costi e duplicazioni e migliorare efficienza e prestazioni. Si potrebbero fare molte cose o almeno iniziare. Peccato che appena cominci a parlare del mondo di I e dei suoi problemi, ecco che spunta il mondo parallelo di B e le priorità cambiano improvvisamente. Perché nel mondo di B. non ci sono quattro punti cardinali ma due: il sole sorge ad Arcore dietro Villa San Martino e tramonta a Roma su Palazzo Grazioli. È un mondo strano ma è fatto così. Lo sanno tutti, anche i ministri del Pdl che un mese fa costrinsero il padre padrone alla famosa piroetta votando la fiducia al governo. Una scelta coraggiosa, ma di breve durata. Perché dopo un giorno e poche ore i disobbedienti fecero marcia indietro, tornando a casa come Lassie.
È chiaro che nessuna terapia, per quanto importante e urgente, potrà mai avere successo se continuamente interrotta: avete mai visto un chirurgo uscire dalla sala operatoria per rispondere al cellulare? Eppure questo è proprio quello che avviene dal 2 ottobre, perché da allora Alfano e soci non fanno che passare, con pendolare regolarità, dal mondo di «B come Berlusconi» a quello di «I come Italia» per poi tornare indietro.
I ben informati dicono che i cosiddetti «innovatori» (cioé gli alfaniani, cioè i governisti) stiano in realtà cuocendo a fuoco lento il vecchio leone giocando sul fatto che senza di loro il cavaliere non ha i voti in Senato per mandare tutto all’aria. Possibile. La storia degli ultimi vent’anni insegna però che Berlusconi una via di fuga la trova sempre: costi quel che costi, come dimostrano i tre milioni del caso De Gregorio.
Mentre Alfano e Berlusconi giocano la loro personale partita a scacchi, nel mondo parallelo dell’Italia le cose non vanno avanti, ma indietro. Come gli indici di fiducia di consumatori e imprese che a ottobre sono tornati a diminuire. Come i prezzi e l’inflazione, che calano perché a calare sono i consumi. E dall’inizio dell’anno gli ordini delle imprese che producono solo per l’Italia sono calati del 10%. Ci vorrebbero misure di sostegno alla domanda, dicono gli esperti, ma nella legge di Stabilità non se ne vede traccia.
Il guaio è che il risanamento del Paese richiederebbe una politica mirata e una maggioranza che la sostenga. Il pendolino di Alfano e soci tiene in piedi il governo, ma non aiuta il Paese. Perché ogni decisione, ogni iniziativa vive sotto l’eterno ricatto che tutto possa saltare da un momento all’altro. La stessa legge di Stabilità, pur timida e con molti difetti, potrebbe venire rinforzata e corretta se il Parlamento si dedicasse davvero ai problemi dell’Italia e non a quelli del Cavaliere, se anziché minacciare il Vietnam parlamentare e la guerriglia (così parlò Brunetta) ci si occupasse di ridurre il cuneo fiscale, correggere le tasse sulla casa, aumentare gli investimenti. E bisognerebbe ripristinare e incrementare il credito a imprese e famiglie. Come ha ricordato Paolo Guerrieri, dalla fine del 2011 i prestiti alle imprese sono diminuiti di oltre 70 miliardi di euro. Il rifinanziamento del Fondo di garanzia per le imprese piccole e medie è un passo nella direzione giusta, ma bisogna che quel passo abbia una falcata più ampia e decisa. Lo stesso per il patto di stabilità interno: un miliardo è una cifra importante ma non sufficiente. E forse, proposta ardita, si potrebbero persino rivedere i saldi di spesa, concetto tabù per il ministro dell’Economia.
Di questo e di altro si dovrebbe discutere nel mondo di I, individuando e realizzando scelte coraggiose per riaccendere il motore economico del Paese. Per farlo è però indispensabile capire se il governo, come dice Letta, ha davvero un’altra maggioranza o se quella del 2 ottobre sia stata una simpatica sceneggiata. Perché la domanda, per quanto imbarazzante, è a questo punto una sola: a quale mondo appartiene Angelino Alfano?
L’Unità 03.11.13