attualità, università | ricerca

“La corsa a ostacoli delle università italiane per attirare gli studenti stranieri”, di Gianna Fregonara

Sono quasi 4 milioni, erano 3,6 milioni tre anni fa, poco più della metà nel 2000. Arrivano soprattutto dall’Estremo Oriente, dalla Cina innanzitutto da dove ogni anno parte almeno mezzo milione di studenti. Di questo enorme mercato di ragazzi in movimento nel mondo in cerca di un’università, gli atenei italiani faticosamente cercano di conquistare una fetta: gli studenti stranieri che scelgono l’Italia per studiare sono ormai più di 70 mila (Erasmus escluso), dicono i dati del rapporto Unesco 2011, vengono principalmente dal Mediterraneo e dall’Est europeo oltre che dalla Cina appunto. Ma i numeri sono inferiori anche agli obiettivi europei; a parte il sistema anglosassone, Francia e Germania fanno molto di più.
Ca’ Foscari a Venezia ha compiuto un grande lavoro passando in tre anni da un 3 per cento di stranieri al 10: oggi sono cinquecento su cinquemila studenti per ogni anno. «Siamo avvantaggiati dal fatto che Venezia ha anche una sua particolarità per tutto ciò che riguarda l’arte, ma abbiamo aperto desk nelle ambasciate di 18 Paesi, forniamo un servizio di tutoraggio da parte degli studenti italiani ai nuovi venuti e li aiutiamo a trovare una sistemazione», spiega il rettore Carlo Carraro. A Venezia gli studenti stranieri pagano tasse più alte degli europei: «È una scelta che alcuni ci contestano ma noi pensiamo che non sia corretto che sia il contribuente italiano a pagare per gli stranieri. Chi vuole venire a studiare da noi non lo deve fare perché è economico ma perché è di qualità».
L’internazionalizzazione, cioè il numero di studenti e professori attratti dalle nostre università, influisce anche sui risultati delle classifiche dei migliori atenei del mondo: le università italiane nonostante vedano un lento ma progressivo miglioramento — in primis il Politecnico di Milano, la Sapienza e Bologna —restano sempre a ridosso del duecentesimo posto. «Uno dei problemi — ha detto al Corriere.it- scuola Alfio Quarteroni, professore al Politecnico di Milano e all’école Polytechnique Fédérale di Losanna — è che le università italiane continuano ad avere un’attrattiva molto bassa per gli studenti stranieri. Al Politecnico di Losanna il 70 per cento degli studenti è straniero, a Milano non superiamo il venti. Qui ci sono pochi laboratori, le strutture sono obsolete, c’è il problema della lingua nonostante molti corsi siano oggi in inglese e c’è poca recettività per gli studenti nelle nostre città».
A Torino, al Politecnico la quota di stranieri è del 15 per cento: «Siamo in linea con le università tedesche e francesi — spiega il rettore Marco Gilli — per noi il problema non é attrarre gli studenti ma i ricercatori stranieri. In questo campo sono purtroppo Francia e Germania che ci prendono i nostri». Per il resto tra scambi con altre università dalla Cina, al Brasile e alla Colombia e accordi diretti con gli Stati gli studenti arrivano.
Ma il problema dell’internazionalizzazione non è soltanto questione di numeri, per i quali è anche inutile competere con le università di lingua inglese o francese. «È anche un problema di qualità degli studenti — spiega Ivano Dionigi, rettore dell’Università di Bologna, 87 mila studenti — per questo è importante la selezione e trovare studenti che siano “attrezzati” altrimenti ci metteranno due o tre anni solo a imparare la nostra lingua». Bologna guiderà le 11 università italiane scelte dal governo brasiliano per far arrivare nei prossimi 4 anni seimila borsisti dei 100 mila che il governo manderà in giro per il mondo a studiare. Per preparare gli stranieri l’Alma Mater ha in bilancio 950 mila euro: «Certo dopo il taglio ulteriore deciso dalla Camera da qualche parte dovremo prendere i soldi, spero di non essere costretto ad incidere su questo programma», insiste Dionigi.
Eppure anche università non di primissimo piano come quella di Sassari hanno programmi per stranieri: «Soprattutto cinesi, per i quali abbiamo borse di studio, oltre ai catalani con i quali la Sardegna ha un collegamento speciale — spiega il rettore Attilio Mastino —. Qui vengono soprattutto a studiare architettura e medicina. Ma noi siamo un po’ fuori mano, molto ci aiutano i programmi Erasmus. Ma soprattutto ospitiamo professori: oltre duecento sono passati di qui l’anno scorso per soggiorni di diversa durata».

Il Corriere della Sera 03.11.13