In un anno è andato perso quasi mezzo milione di posti di lavoro. Un’enormità a conferma del persistere della recessione e dell’emorragia delle imprese, una caduta libera che riguarda tutte le categorie di lavoratori, uomini, donne e giovani, e che potrebbe fermarsi solo tra qual- che mese, sempre a patto arrivi davvero la ripresa prevista a fine anno. I dati Istat sull’occupazione, al mese di settembre, non sono mai stati così neri dal 1977: i disoccupati sono quasi 3,2 milioni, 29mila in più rispetto ad agosto (+0,9%), 391mila in più su base annua (+14%). È il nuovo massimo per i senza lavoro in Italia, che porta il tasso di disoccupazione al 12,5% (nell’eurozona è al 12,2%), in aumento dell’1,6% sull’anno scorso. Tra i giovani nella fascia 15-24 anni i disoccupati sono 654mila, con un tasso record al 40,4%, aumentato di ol- tre il 4% rispetto a un anno fa (nell’eurozona è poco oltre il 24%): in altri termini, meno di 2 giovani su 10 lavorano, con un tasso di occupazione calato al 16,1%. L’incidenza dei disoccupati in questa fascia d’età sul totale della popolazione giovanile è del 10,9%, Per contro, gli occupati di tutte le età sono 22 milioni 349mila, 80mila in meno rispetto ad agosto (-0,4%) e 490mila in meno su base annua (-2,1%). Il tasso di occupazione è al 55,4% (-0,2 su agosto e -1,2 rispetto a do- dici mesi prima). Poi c’è l’anomalia italiana, almeno nei numeri, degli inattivi (la fascia è quella tra i 15 e i 64 anni), a settembre 71mila in più rispetto ad agosto, ma sostanzialmente stabili nell’arco dell’anno, con un tasso al 36,4%. L’occupazione maschile è al 64,4% (-1,7% sull’anno), quella femminile inchiodata al 46,5% (-0,7%). E la disoccupazione corre per entrambi i generi, per gli uomini (+16,7%) come per le donne (+10,7%).
LE CONFERME DEI NUMERI
Un Paese impoverito, nelle prospettive e nel reddito, dal lavoro che non c’è, dove infatti l’inflazione è ai minimi nonostante l’aumento dell’Iva. I numeri sono questi, non sorprendenti per la verità, anche se messi tutti in fila nero su bianco misurano la crisi meglio di qualsiasi parola. E diventano motivo di pressione sul governo per «un cambio di rotta» a partire dalla legge di Stabilità in discussione in Parlamento. Anche il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ne fa cenno. Sottolinea come sia «particolarmente negativo il fatto che il livello occupazionale, dopo 3-4 mesi di stabilità, è nuovamente diminuito e che questo accada a settembre, mese in cui ci sono segnali di ripresa in alcuni settori». In quest’ottica, dice sempre il ministro, «la discussione sulla Stabilità è molto importante, proprio per accelerare il contenuto di occupazione perché l’incertezza creata dal mercato del lavoro è un fattore di ostacolo alla ripresa». Giovannini, comunque, mette le mani avanti quando chiarisce anche che «se si pensa di risolvere tutto con un unico intervento legislativo non abbiamo capito nulla». Ancora: «I dati dimostrano come la crisi continui a mordere sul mercato del lavoro, come sempre con tempi molto più lunghi rispetto all’eventuale ripresa dell’attività produttiva».
I sindacati chiedono unanimemente al governo «un cambio di rotta, a partire dalla legge di Stabilità, che deve mettere al centro il lavoro», come dice una nota Cgil: «La recessione non è finita e senza una terapia d’urto non si ferma l’emorragia di posti di lavoro. Le politiche restrittive di questi anni hanno aggravato la situazione, espulso milioni di lavoratori e impedito ad altrettanti giovani di accedere al mondo del lavoro». Mentre sarebbero necessari «una significativa riduzione del carico fiscale sul lavoro e investimenti pubblici che stimolino la do- manda e creino occupazione». Severo anche il giudizio di Raffaele Bonanni, leader della Cisl, che torna a parlare della Stabilità come di un’occasione mancata per imprimere una vera svolta nell’economia, motivo peraltro della mobilitazione già annunciata dai sindacati: «Senza un intervento choc sulle tasse non ci sarà la svolta necessaria – dice – Con la politica dei piccoli passi avremo solo altri dati negativi. Ci vorrebbe molto più coraggio da parte del governo: so- lo tagliando la spesa pubblica, a cominciare dall’obbligo dei costi standard per tutti i settori della pubblica amministrazione, si potranno ridurre drasticamente le tasse ai lavoratori, ai pensionati ed alle imprese che investono. Il nostro sciopero non è contro le imprese, ma contro tutti quelli che vogliono che non si tocchi nulla negli assetti organizzativi dello Stato». Per i giovani, intanto, la re- sponsabile Lavoro e Politiche sociali del Pd Cecilia Carmassi lancia un’idea: «In attesa – dice – che si creino opportunità di lavoro vero, mettiamo a frutto le risorse del servizio civile. Si potrebbero im- piegare subito migliaia di giovani, utilizzando le graduatorie dell’ultimo bando che hanno progetti approvati ma non finanziati. Il tempo non è neutro».
L’Unità 01.11.13