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“Ma un ministro non può avere amici”, di Michele Brambilla

Sarà certamente vero, come assicura la Procura di Torino, che se Giulia Maria Ligresti è stata scarcerata, non lo è stata per l’intervento del ministro Cancellieri. Però la storia non è bella. E soprattutto non è una di quelle storie di cui abbiamo bisogno in questo momento di – come si usa dire – «disaffezione alla politica». I fatti sono questi. Nel luglio scorso, praticamente l’intera famiglia Ligresti finisce agli arresti nell’inchiesta sulla compagnia assicurativa Fonsai. Agli arresti Salvatore Ligresti, il capostitite, e tre suoi figli, tra cui Giulia Maria. Per quest’ultima ci sono parecchie preoccupazioni, perché in passato ha sofferto di anoressia. Come potrà reggere al carcere? Il 17 agosto Gabriella Fragni, la compagna di Salvatore Ligresti, parla al telefono con Antonino, il cognato, e dice che il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, sua vecchia amica, «potrebbe fare qualcosa per Giulia». Il 28 agosto le porte del carcere, per Giulia, si aprono.

Grazie a un intervento dall’alto? Alcune telefonate tra la Fragni e il ministro lo fanno sospettare. Lei, Annamaria Cancellieri, viene interrogata dai magistrati torinesi e conferma di essersi interessata, di avere «sensibilizzato i due vice capi dipartimento del Dap (…) perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati». È stato, spiega ancora, «un intervento umanitario». E senza alcuna violazione di legge.

Certamente sarà così, nessuna violazione della legge. Ma la storia, dicevamo, è brutta lo stesso. O almeno imbarazzante. Perché?

Annamaria Cancellieri è una specie di incarnazione di quel che gli italiani chiedono, anzi pretendono, dopo tanti anni di malcostume politico: una figura super partes, al servizio delle istituzioni e non di una parte politica. Così è sempre stata: ha fatto il prefetto, poi il commissario a Bologna e a Parma, amministrando (bene) i Comuni in sostituzione di giunte e di sindaci travolte da scandali. Quando, terminato il commissariamento a Bologna, il Pdl le chiese di candidarsi a sindaco, lei rispose di no, per non perdere la sua imparzialità. È stata ministro dell’Interno in un governo tecnico, quello di Monti; e lo è della Giustizia in uno di larghe intese. Sempre senza essere «in quota» a nessuno. La stima che si è conquistata, Annamaria Cancellieri se l’è meritata: e non è un caso se il suo nome è a un certo punto circolato perfino per il Quirinale.

Quando è diventata Guardasigilli, ha preso subito a cuore la condizione dei carcerati, e s’è data da fare, per quanto ha potuto, per alleviarne le sofferenze. Se dice che il suo intervento in favore di Giulia Maria Ligresti era motivato dalla preoccupazione per le condizioni di salute, c’è da crederle. Però, c’è un però. Annamaria Cancellieri è appunto amica da decenni di Gabriella Fragni, la compagna di Salvatore Ligresti; e suo figlio, Piergiorgio Peluso, è stato dirigente della Fonsai. Così quelle telefonate e quell’intervento – per legittimo e ininfluente che possa essere stato – dà agli italiani l’impressione che come al solito ci sono cittadini (in questo caso detenuti) di serie A ed altri di serie B, senza alcuna suocera o zio amici del ministro.

Si dirà che le impressioni non sono fatti. È vero. Ma fino a un certo punto. Mai come in questo periodo la politica ha bisogno che perfino la moglie di Cesare sia al di sopra di ogni sospetto: troppi scandali o scandaletti, favoritismi e raccomandazioni, troppe buone parole e dì che ti mando io hanno indotto gli italiani a pensare che sia tutto uno schifo, anche peggio di quello che è.

Per questo, anche se si è intervenuti in favore pure di altri detenuti, quando chiama un’amica bisognerebbe rispondere «agli altri sì ma a te no, proprio perché sei mia amica». Oggi viene richiesto, a chi è in politica, un supplemento quasi disumano di impeccabilità.

La Stampa 01.11.12

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