Lo scorso settembre abbiamo celebrato un triste anniversario. Sono trascorsi cinque anni dal fallimento delle Lehman Brothers. Il bilancio degli stregoni della finanza per l’Europa è scioccante. Disoccupazione, in particolare quella giovanile, la contrazione del Pil con ricadute dirette sulla spesa pubblica e più tasse, condizioni penalizzanti per l’accesso al credito per le imprese e instabilità politica. Il miglior cocktail per la disperazione.
Ogni Paese europeo si è imbattuto in alcune “complicazioni” che sembravano superate nel continente più ricco del mondo: l’accesso all’assistenza sanitaria di base in Grecia, lo sfratto delle famiglie spagnole per un pagamento in ritardo, la generazione perduta dei ragazzi costretti a rimanere con i loro genitori, dovendo così abbandonare qualsiasi sogno di costruirsi una carriera o una famiglia. Il prezzo che gli europei hanno dovuto pagare era e
resta molto alto.
CI ERA stato detto che non avevamo scelta, che l’austerità fosse l’unica strada percorribile. La ripresa aveva un prezzo che noi, entusiasti, avremmo pagato. Oggi, invece, stando a quanto ci dice il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), l’impatto dell’austerità sull’economia è stato valutato erroneamente. I tagli della spesa hanno «tagliato» la crescita in un modo inatteso. E’ probabile che negli ultimi tre anni miliardi di Pil dell’Eurozona siano stati persi inutilmente a causa di errori politici. L’Fmi ha inoltre stimato che la struttura interna della Troika era inefficace a risolvere i problemi, creando più danni che altro e più recessione di quanto calcolato, senza restituire fiducia agli investitori. La ripresa economica non solo è stata ostacolata, ma così facendo si è impedito all’Europa di riacquistare fiducia. A causa delle decisioni di pochi, la maggior parte dei cittadini si è fatto l’idea di un’Unione europea “aguzzino” senza sentimenti e scrupoli.
Scusarsi non basta più. Qualcuno deve assumersi la responsabilità per questi errori devastanti e un simile dramma, qualcuno deve essere colpevole e pagarne le conseguenze. Non puoi volere il taglio scriteriato dei capelli e accusare le forbici per i danni provocati. La Commissione Economica e monetaria del Parlamento europeo ha già aperto un’inchiesta sul lavoro della Troika in Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro per far luce sul perché siano stati fatti tanti e simili errori; e come sia stato possibile che tante teorie, giudicate tre anni fa giuste, si siano poi rivelate totalmente sbagliate.
Dopo anni di sospensione, il controllo democratico potrebbe finalmente iniziare a funzionare. Pur se fortemente colpiti da tali decisioni sbagliate, i Paesi europei stanno piano piano riprendendo il cammino per invertire il trend. La Grecia si aspetta un ritorno alla crescita nel prossimo anno, l’Ir-landa è pronta ad uscire dal programma di salvataggio entro fine 2013, mentre Italia, Spagna e Portogallo stanno facendo i primi passi verso la ripresa. Ma il danno ormai è stato fatto. Dobbiamo restituire fiducia all’Europa. Non parlo solo per me stesso o delle Istituzioni europee, ma anche dell’economia globale dell’Eurozona.
Come possiamo farcela? L’Europa deve accelerare la ripresa. Deve dare maggior sostegno ai giovani a trovare lavoro, creare maggior stabilità nel settore bancario grazie all’Unione bancaria, rafforzare il
mercato, dare la caccia senza quartiere a evasori ed elusori fiscali e aprire l’Europa a nuovi mercati e investimenti stranieri. Lo stesso Internet potrebbe generare una crescita incredibile se solo armonizzassimo e semplificassimo a livello europeo la nostra legislazione. Potremmo anche considerare il principio di una “Golden rule” che consenta di non calcolare nel deficit gli investimenti produttivi.
Queste sono le grandi sfide, ma i cittadini ci danno poco credito. Sono troppe le promesse fatte e pochi i risultati ottenuti. Non lanceremo slogan, ma misureremo il peso delle nostre richieste con azioni concrete realizzabili. Solo così invertiremo il trend di fiducia e porremo le basi per una ripartenza proprio dal Sud dell’Europa.
(L’autore è presidente del Parlamento Europeo)
La Repubblica 01.10.13
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