Il prossimo semestre – a decorrere dall’esito elettorale in Germania, con la riaffermazione di Angela Merkel come figura dominante, fino alle elezioni europee nel maggio 2014 – segnerà una fase cruciale nell’evoluzione dell’Unione europea. Da quanto accadrà in questo periodo potrebbe dipendere la possibilità dell’Unione di uscire finalmente dalla morsa della crisi dell’euro, in atto ormai da un quinquennio. Di fatto, la cancelliera della Germania è anche “presidente” dell’Ue: è a lei che deve rivolgersi chiunque voglia veramente influenzare il futuro del continente europeo. Secondo il parere concorde dei commentatori politici la politica tedesca nei confronti del resto dell’Europa non cambierà di molto. Il popolo tedesco ha detto la sua. Non vuole accollarsi altre responsabilità, al di là delle misure già adottate per i Paesi sregolati del Sud. Perciò la politica di Angela Merkel nei rapporti intergovernativi – pragmatismo e passi lenti, disciplina economica e rigore per l’Europa nel suo complesso – continuerà come prima.
Ma così non si può andare avanti. In altri termini, se la cancelliera tedesca manterrà questa posizione, il futuro dell’Europa resterà assai problematico. In superficie sembra che le preoccupazioni per l’euro siano rientrate; ma non è pace vera – se mai di pace si potesse parlare. I difetti strutturali della moneta unica, lungi dall’essere risolti, sono solo temporaneamente coperti.
C’è da dire che su questo la politica tedesca non influisce più di tanto. Nulla poteva tranquillizzare i mercati quanto le parole di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, che nel luglio 2012 ha dichiarato: «La banca è pronta a fare tutto ciò che servirà per preservare l’euro», e ha aggiunto poi: «Credetemi: non sarà poca cosa». Tuttavia a questa promessa non sono seguite, a livello europeo, le azioni necessarie per conferirle reale sostanza. Qualora ad esempio un Paese come l’Italia venisse a trovarsi in una crisi tale da non riuscire più a ottenere crediti da investitori internazionali, l’Ue sarebbe semplicemente nell’impossibilità di far fronte al problema.
Nel bene e nel male, l’introduzione della moneta unica ha accresciuto a dismisura l’interdipendenza economica dei Paesi dell’Eurozona, ma anche degli Stati rimasti al di fuori. Questa condizione di interdipendenza — con la vulnerabilità collettiva che ne consegue — dovrebbe
essere affiancata dai livelli di coesione economica e politica necessari ai fini della stabilità. Di fatto però, il progetto di un’Unione bancaria è ancora lontano dal suo completamento. Nei suoi rapporti con le banche in difficoltà l’Europa sta arrancando, a grande distanza dagli Stati Uniti. Quanto all’integrazione fiscale, non meno necessaria, è appena ai primi passi.
Intrinsecamente instabile, l’“Europa tedesca” sottende le divisioni verificatesi sia tra gli Stati membri che al loro interno. La “presidente Merkel” ha riscosso il sostegno dei suoi concittadini, ma il suo ruolo rispetto all’Europa non ha alcuna legittimazione. I segnali di ripresa economica che si intravedono sono fragili, e rischiano di restare tali in assenza di ulteriori interventi. Nel frattempo, quasi ovunque la fiducia degli elettori dell’Ue ha subito un tracollo. Uno dei maggiori rischi è che i partiti euroscettici e populisti assumano un ruolo dominante alle elezioni europee, quando probabilmente per la prima volta il confronto avverrà su questioni non solo nazionali, ma di portata continentale.
Ecco alcune considerazioni su cui la signora Merkel dovrebbe riflettere. La posizione economica della Germania, apparentemente solida, è in realtà fragile e contingente. Il suo attuale successo può essere ascritto solo in parte alla disciplina e al rigore. Senza la sua appartenenza all’Eurozona, ampi settori dell’industria tedesca cesserebbero di essere competitivi da un giorno all’altro. A fronte dei drammatici mutamenti economici e tecnologici, l’esigenza di riforme e ristrutturazioni riguarda l’intera Europa, e non solo i Paesi del Sud. Ancora pochi anni fa la Germania era il malato d’Europa, e potrebbe tornare ad esserlo. Il successo futuro dell’Unione europea è legato all’impegno collettivo per una maggiore solidarietà: non solo per superare i difetti strutturali dell’euro, ma per creare ammortizzatori in vista degli scossoni che potrebbe riservarci il futuro. Un miglior coordinamento, sia esso limitato a un gruppo ristretto di Stati o esteso all’Unione nel suo complesso, non può essere il surrogato di una maggiore integrazione. Sono necessari progressi più rapidi verso l’Unione bancaria: quella che in questo campo si fa passare per prudenza potrebbe trasformarsi in un rischio mortale. E tutto questo non basta. Non vi può essere soluzione alla crisi europea senza l’adozione di misure per la ripartizione degli oneri tra Paesi creditori e debitori dell’Eurozona. Le travagliate vicende dell’euro hanno posto in piena luce la classica debolezza dell’Unione: la sua mancanza di legittimazione democratica. In assenza di passi significativi verso un’integrazione sia politica che economica, resta incombente il rischio che l’intera impresa finisca per crollare. Il pragmatismo può essere una virtù, ma se non persegue un obiettivo, una visione cui il comune cittadino possa fare riferimento, rischia di rivelarsi autodistruttivo.
Angela Merkel si è mostrata coerente nell’asserire che la Germania non aspira a una posizione di dominio in Europa; e ha riconosciuto che un’ambizione del genere non corrisponderebbe agli interessi del suo Paese. È venuto il momento di tradurre il senso di queste parole in realtà, e di fornire così agli europeisti argomenti positivi e concreti per l’elettorato dell’Ue, in vista delle elezioni del maggio 2014.
La chiave è nelle mani della Germania, e in misura minore anche della Francia. L’integrazione politica non è realizzabile senza l’accettazione — in primis da parte della Germania — di una
qualche forma di mutualità — o in altri termini, di condivisione del debito nell’ambito dell’Eurozona. Alla prova dei fatti, la signora Merkel si è personalmente schierata contro quest’eventualità; la Germania potrebbe dunque continuare ad imporre politiche di austerità agli stati condizioni difficili. Qualora Angela Merkel si arroccasse su questa posizione, le sorti dell’Europa, e in definitiva quelle della stessa Germania, rischierebbero di volgere al peggio.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)
La Repubblica 31.10.13