Il Mezzogiorno sta affondando: è questo il grido di dolore del Rapporto Svimez 2013. I numeri sono agghiaccianti: dal 2007 al 2012, il settore manifatturiero ha ridotto la produzione del 25%, i posti di lavoro del 24% e gli investimenti addirittura del 45%. La disoccupazione, che è continuata ad aumentare inesorabilmente arrivando a circa il 30% della forza lavoro, ha fatto impennare l’emigrazione: negli ultimi venti anni 2,7 milioni di persone hanno abbandonato il territorio meridionale. Si tratta principalmente di giovani, il cui esodo sta provocando un fatale scadimento della qualità della forza lavoro e un drastico innalzamento dell’età media della popolazione residente.
Questa catastrofe va ricondotta alla totale scomparsa di politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno e ha riportato le regioni del Sud nella situazione precedente al periodo dell’ “intervento straordinario”. In quella fase, compresa tra il dopoguerra e i primi anni ’60, l’equilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro era assicurato attraverso massicci fenomeni migratori dei meridionali, originariamente verso l’estero e più tardi verso le regioni del Nord.
Ci sono diversi fattori che hanno concorso a provocare il disastro del Mezzogiorno: quelli macroeconomici e quelli relativi all’assenza di una politica industriale, alla restrizione del credito bancario, all’arretratezza della specializzazione produttiva, alla carenza di infrastrutture, di legalità e di efficienza della pubblica amministrazione. Si tratta di un insieme di fattori che dovrebbero essere ricondotti nel quadro di una politica organica della quale non si vede più neanche l’ombra. Il Presidente della Svimez, Adriano Giannola, ha sottolineato che il Sud si trova ad operare in un contesto macroeconomico avverso: l’impossibilità di svalutare il cambio, le politiche di austerità imposte dall’Europa e la concorrenza fiscale e valutaria dei Paesi che non aderiscono all’euro pregiudicano la possibilità di rilanciare in modo vigoroso l’attività economica. A ciò si aggiunge che dalla fine dell’intervento straordinario lo sviluppo è stato lasciato all’iniziativa di quei pochi distretti industriali cui tuttavia non sono stati attribuiti i mezzi concreti per attivare una crescita autopropulsiva. Inoltre, le regioni meridionali incontrano difficoltà enormi ad investire i pur cospicui fondi strutturali europei sia per la scarsità dei fondi necessari per cofinanziare i progetti; sia per la mancanza di progetti e di imprese in grado di realizzarli; sia per l’inefficienza della burocrazia nella valutazione, selezione e monitoraggio dei progetti.
Occorrerebbe dunque cambiare decisamente passo e rovesciare una situazione ormai insostenibile. Paradossalmente, il ritardo di sviluppo del Sud potrebbe rappresentare un punto di forza poiché più alte sono le potenzialità di crescita. La Svimez ha individuato alcuni possibili motori dello sviluppo, tra cui la riqualificazione urbana, il potenziamento delle infrastrutture di trasporto e di comunicazione, l’espansione delle energie rinnovabili a cui si aggiungono la creazione di un’industria meridionale per il riciclo dei rifiuti, la produzione di nuovi materiali biodegradabili in sostituzione delle materie plastiche e molte altre attività che ricadono nel campo della cosiddetta “green economy”.
In questa fase critica per le finanze pubbliche, è necessario puntare su due linee d’azione fondamentali: rinegoziare con l’Europa una nuova fiscalità per le aree depresse e mobilitare le poche grandi imprese che sono ancora nell’orbita dello Stato (Eni, Enel, Finmeccanica, le Ferrovie dello Stato e la Cassa Depositi e Prestiti). Queste imprese hanno risorse finanziarie e capacità tecnologiche per lanciare grandi progetti d’investimento su cui aggregare piccole e medie imprese, centri di ricerca e università e per costruire delle partnership
con grandi imprese straniere. L’obiettivo dovrebbe essere quello di favorire la nascita di una nuova classe imprenditoriale: non abbiamo infatti bisogno di nuove imprese, ma di nuovi imprenditori.
In conclusione, il drastico peggioramento dell’economia meridionale non si discosta da quel che sta accadendo in altri Paesi in ritardo di sviluppo come la Grecia, il Portogallo e la Spagna. La situazione italiana ha, però, una sua peculiarità poiché la stessa vitalità dell’economia del Nord è stata fiaccata dalla crisi generale del Paese. Ciò minaccia di realizzare la profezia inquietante di Giuseppe Mazzini: «L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà».
La Repubblica 31.10.13