Non può mancare, in un necessario sforzo generale per il sostegno dell’economia, l’apporto del sistema bancario e finanziario, a partire da un’adeguata espansione dei finanziamenti alle imprese in un quadro di stabilità e di efficace tutela dei risparmiatori, ha scritto ieri il Capo dello Stato Giorgio Napolitano in un messaggio non affatto formale alla celebrazione della Giornata del Risparmio. E, poi riferendosi anche al progetto di Unione bancaria, il presidente ha detto che sono necessarie, nel sistema, innovazioni ed adattamenti che, ancorché onerosi, rechino in sé i presupposti di una maggiore competitività e grandi potenzialità di sviluppo per le nostre banche. Questo invito-monito per una svolta nelle politiche del credito, pur senza disconoscere i problemi della do- manda dei finanziamenti ben si colloca alla testa degli interventi che si sono poi succeduti nel convegno e che non potevano, data l’oggettività del rilievo partito dal Quirinale, non esprimere quasi un idem sentire. Partendo dall’economia reale, il ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, ha ricordato che stiamo uscendo da una fase difficile e, perciò, si possono evitare ulteriori, pesanti restrizioni.
Ecco, il primo punto: la tempesta che si abbattuta per circa cinque anni è stata tale che oggi noi dovremmo essere quasi soddisfatti di non subire ulteriori limitazioni, il che già costituirebbe un quasi-successo. Davanti a noi permane un sentiero stretto. È ovviamente facile a dirsi, molto meno facile a tradursi in convincenti iniziative. La filosofia alla base della legge di stabilità è quella di un approccio prudente e moderata- mente espansivo nei saldi, dice Saccomanni, sottolineando che non ci sono soluzioni semplici per sgravi fiscali e invitando, però, a non trascurare le entrate straordinarie che potranno derivare da tre misure ancora in corso di definizione: rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia, rientro dei capitali irregolarmente esportati all’estero, contrasto all’evasione fiscale. Come si vede, siamo al raschiamento del barile. Non è questione di coraggio, dice Saccomanni, ma di limiti che non possono essere superati e non è vero che la Corte dei Conti, l’Istat e la Banca d’Italia hanno smontato la manovra varata con la predetta legge, dal momento che, leggendo i rispettivi documenti, si può agevolmente rilevare che questi enti ne hanno pienamente condiviso la struttura. Anche il ministro dell’economia, come il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco – ecco il punto di incrocio con le autorevoli parole di Napolitano – ritiene indispensabile riattivare il circuito del credito, come misura fondamenta- le per sostenere la crescita. L’efficiente allocazione del risparmio è condizione necessaria perché la nostra economia, sulla quale gravano debolezze strutturali a lungo trascurate e amplificate dalla crisi globale, possa collocarsi su un sentiero di sviluppo. Ma questa allocazione dipende dal corretto svolgimento del ruolo delle banche, le quali sono chiamate a superare negligenze e ri- tardi e ad adeguare operatività, efficienza, qualità dei servizi e assetti organizzativi all’evoluzione dei mercati. E questi ritardi interessano, in particolare, i canali distributivi, l’impiego delle tecnologie, la governance, i rapporti tra banca e impresa, le politiche di allocazione dei fondi, alcune problematiche categoriali, come quelle della forma giuridica delle banche popolari di maggiore dimensione; ma riguardano anche, e soprattutto in questa fase, i costi operativi. Nel breve termine, il recupero di redditività, ha detto Visco, esige interventi decisi sui costi, inclusi quelli del lavoro, che rappresentano la metà di quelli complessivi, ivi comprese le remunerazioni dell’alta dirigenza. Visco chiede che tutte le parti – evidentemente quelle sociali e istituzionali – siano coinvolte e responsabilizzate in un’azione non dissimile da quella che fu promossa a metà degli anni novanta, quando la profonda riconversione bancaria fu accompagnata da nuovi schemi di relazioni industriali e da misure categoriali e pubbliche agevolative. Ecco, dunque, l’appello alle parti in causa che fa da pendant allo «sforzo generale» di cui il Capo dello Stato ha rilevato l’essenzialità. I costi operativi degli istituti di credito italiani risultano 5 punti percentuali superiori alla media delle maggiori banche europee. È un tema cruciale che non può essere più eluso, ma deve esse- re affrontato, in un contesto di convergenze, come auspicato anche dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. Sta qui la capacità dei sindacati nel sapere rispondere a questa sfida: gli atti unilaterali di parte datoriale non sono accettabili, ma non ci si può sottrarre all’evidenza di una problematica quando la si voglia affrontare costruttiva- mente per rimediare a uno squilibrio che l’Autorità monetaria segnala, pur riconoscendo che su questo fronte non si è stati fermi, ma sono stati compiuti progressi. Si potrebbe dire che la campana suona per tutti e, allora, bisognerà attrezzarsi con proposte che concernano la produttività, la distribuzione territoriale delle dipendenze, i rapporti con l’estero, le strategie in generale, la formazione e la specializzazione del personale. Insomma, una sorta di spending review anche nel settore del credito da condurre con spirito di coesione. Dal canto loro, anche le Fondazioni sono pronte a fare la propria parte innovando nei loro comportamenti e offrendo la disponibilità ad alcune modifiche normative indicate da Giuseppe Guzzetti, il presidente dell’Acri, in un efficace intervento in cui ha manifestato disponibilità e aperture, ma ha pure rivendicato gli indubbi meriti di questi enti privati di utilità sociale. Allora, se dalla massima magistratura dello Stato al governo, all’Autorità monetaria ai maggiori esponenti delle due associazioni di categoria del settore – Acri e Abi – esiste, da un lato, l’impulso ad agire innovando e, dall’altro (le predette associazioni), l’adesione a darvi seguito, è legittimo attendersi una svolta nelle politiche del credito che sfrutti le opportunità della sia pur lenta uscita dalla crisi. O, almeno, questa è la logica deduzione che se ne dovrebbe trarre. Vedremo. Certo non si potrà non cambiare passo, nell’interesse di tutti.
L’Unità 31.10.13