Il compito storico del governo di Enrico Letta è chiudere la stagione di Berlusconi senza ulteriori colpi alle istituzioni e alla reputazione del Paese, accompagnare il Cavaliere alla porta e costruire un nuovo terreno di gioco per la politica. Occorre dirlo con chiarezza, perché altrimenti la babele delle lingue ci sovrasterà e smarriremo anche il criterio per giudicare. Questo governo non ha mai avuto le caratteristiche di una Grande coalizione di stampo europeo: lo stato di necessità non è determinato solo dagli effetti numerici dell’inedito tripolarismo italiano, ma anzitutto da un progressivo collasso del sistema.
Berlusconi è una causa primaria del blocco di sistema e quanto sta avvenendo oggi – tra le resistenze alla decadenza da senatore e le vergognose risultanze delle inchieste a suo carico – accentua i tratti di una vera crisi di regime. Viviamo un passaggio drammatico, reso ancor più pericoloso dalle conseguenze sociali della crisi economica. Il governo Letta è terreno di battaglia politica tra i suoi stessi sostenitori. Non solo sull’Imu. Non solo sulla legge di Stabilità. In gioco è l’Italia di domani, la nostra democrazia, l’autonomia dei governi dai poteri esterni. E visto il peso dell’Italia, vista la crescita dei populismi in tutto il continente, si può dire che in gioco sia anche il destino dell’Europa.
Non possiamo certo cavarcela promettendo che le larghe intese non si faranno più. È troppo poco. Bisogna dire come costruire, da oggi, il terreno di una competizione che faccia risalire la china all’Italia, a comincia- re da chi ha sin qui pagato il prezzo più elevato della caduta di prestigio, di reddito, di competitività del sistema-Paese. È qui il nodo del governo Letta. Il salto che deve compiere con la legge di Stabilità, con il programma del semestre di presidenza dell’Unione europea, con le riforme elettorali e istituzionali. Beppe Grillo ha sin dall’inizio investito tutto sullo sfascio. E ora alza il tono del suo insulto antisistema. L’impeachment contro Napolitano, in sé ridicolo nelle argomentazioni, è un modo per accentuare l’ostilità contro il governo, per spingere verso elezioni anticipate in condizioni di destabilizzazione. L’alternativa per Grillo, come ha scritto Gad Lerner su la Repubblica, è una campagna «destabilizzante» alle europee contro l’Europa. Sente l’onda montante del- la sfiducia, sa bene che ha il segno di una nuova, temibile destra, quella che mescola nostalgie nazionaliste, paura e xenofobia, ma le prossime elezioni europee segneranno appunto l’integrazione dei Cinquestelle nel populismo no-euro.
Non sfugge neppure a Berlusconi che la sua parabola politica è al termine. Merkel e i popolari europei non vorrebbero più vederlo neppure in fotografia. Forse Berlusconi è persino tentato di imboccare la strada dei no-euro, ma arriverebbe secondo anche lì. La sola carta che ha in mano è tentare una nuova spallata al governo. L’obiettivo è coprire la condanna con la più gridata, la più disperata delle campagne elettorali. La legittimazione del voto contro la legittimità della Costituzione. Per questo è pronto a spaccare il suo partito, a bloccare ogni riforma, ad azzerare la legge di bilancio aprendo le porte al commissariamento dell’Italia da parte della trojka.
Sarebbe un guaio, anzi un delirio, se in questo contesto qualcuno nel Pd offrisse una sponda a Berlusconi per chiudere la legislatura senza riforme e affidare alle urne nodi ancora più complicati e problemi sempre più incancreniti. La tentazione c’è. Ma va sconfitta. Il governo Letta rischia oggi di essere sostenuto solo da porzioni dei tre partiti della maggioranza, e forse il sostegno più leale è limitato addirittura a tre minoranze. Tuttavia, la battaglia politica è aperta. Non è detto che Letta arrivi alla fine del 2014 come sarebbe auspicabile per il Paese. E, certo, non ci arriverà ad ogni costo. Perché la sua condizione vitale è aprire la strada del dopo. Il Porcellum va abolito, contro i suoi sostenitori palesi e occulti. La legge di Stabilità va corretta, nel senso dell’equità e della redistribuzione a favore di chi ha più bisogno e di chi ha sempre pagato le tasse. Le riforme istituzionali vanno completate almeno eliminando il bicameralismo paritario e correggendo le storture del federalismo «all’italiana». La presidenza italiana va preparata nel segno del cambiamento delle politiche europee. Il nuovo terreno della politica è lo scontro tra un centrodestra e un centrosinistra europei non più costretti nei rigidi binari dell’ortodossia di Maastricht. Se za un nuovo orizzonte europeista, i Grillo, i Le Pen e i populisti di ogni latitudine avranno la meglio nell’Europa del declino.
Non sappiamo se, a questo punto, il partito di Berlusconi si spaccherà oppure no. Se i «governativi» troveranno l’intesa con una parte di Scelta civica. Certo, sarebbe un atto di chiarezza se le forze del popolarismo europeo in Italia rompessero finalmente con Berlusconi. Ma è una questione che riguarda la destra. La sinistra, come ha scritto ieri Alfredo Reichlin su l’Unità, deve anzitutto mettere in campo la sua idea di futuro. Deve dire quale democrazia, quale società ha in mente in questo cambio d’epoca. Il congresso del Pd è un banco di prova. Ridurre il confronto al destino di questo governo o alla leadership del successivo, sarebbe l’errore più grave. Hanno sbagliato coloro che descrive- vano il governo Letta come una assicurazione nelle mani del Cavaliere. Non vorremmo che qualcuno ora pensasse che sarebbe bene prolungare l’agonia del sistema nella prossima legislatura: non avremo leadership forti, ma solo la continuità di governi limitati nella loro azione. Un neo-centrismo per cause di forza maggiore. Ma è proprio ciò che una sinistra moderna deve assolutamente respingere.ù
L’Unità 30.10.13