Nel Paese dell’eterno ricorso, rischia di slittare all’infinito anche la decadenza da senatore di Berlusconi, annunciata come la fine del ventennio, dopo la sentenza della Cassazione che ha definitivamente condannato il leader del centrodestra per frode fiscale. Ieri la giunta del regolamento del Senato, mentre discuteva se la fine della carriera parlamentare dell’ex premier dovesse essere stabilita con voto palese o segreto, s’è imbattuta in una nuova questione, considerata decisiva dal centrodestra e irrilevante, va da sé, dal centrosinistra. Secondo i giudici di appello di Milano, che, sempre su richiesta della Cassazione, hanno ridotto la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per il Cavaliere da cinque a due anni, la sanzione prevista dalla legge Severino, cioè la decadenza e l’incandidabilità, «è riservata all’autorità amministrativa», ovvero alla Camera d’appartenenza. Tanto è bastato ai parlamentari del centrodestra per dire che la Severino, proprio perché prevede una conseguenza amministrativa, non può essere applicata a Berlusconi retroattivamente, per reati commessi prima dell’entrata in vigore della stessa legge.
C’era un vecchio detto ai tempi della Prima Repubblica che diceva che quando una crisi politica finisce in mano agli avvocati è un guaio. Niente come quel che sta accadendo al Senato attorno al caso del Cavaliere lo conferma. Nella giunta del regolamento di Palazzo Madama, che nel suo piccolo ha già votato la decadenza, delegando all’aula dei senatori la decisione finale, si confrontano due pattuglie di irriducibili. Secondo quella del centrodestra guidata dall’ex ministro (ed ex giudice) Nitto Palma la decadenza di Berlusconi equivale a un’esecuzione sommaria, se votata senza aver la certezza che la legge Severino sia costituzionale (cioè senza chiedere prima alla Consulta di pronunciarsi in materia). E le motivazioni della sentenza dei giudici di Milano, in questo senso aggiungerebbero altri dubbi, spingendo in favore di un approfondimento. Secondo quella di sinistra pilotata dall’ex magistrato Felice Casson, invece, questi dubbi sono infondati, il centrodestra sta facendo melina e si rifiuta di applicare la legge anticorruzione, che pure aveva votato, solo perchè riguarda Berlusconi.
Queste argomentazioni potrebbero validamente essere sostenute in un’aula di giustizia, o anche in quella suprema della Corte Costituzionale. Ma stavolta, non va dimenticato, a pronunciarsi è il Senato, che prenderà, appunto, una decisione politica e non giurisdizionale. In altre parole l’argomento in base al quale i senatori si pronunceranno, ridotto all’essenziale, sarà: conviene o non conviene? E non c’è dubbio che in base a quest’argomento negli ultimi giorni sia intervenuta una novità non trascurabile. Mentre infatti il 2 ottobre, rispondendo a questa domanda, ventitré senatori del centrodestra avevano firmato un documento per dire che la decadenza del loro leader era un prezzo da pagare pur di tener in piedi il governo, venerdì scorso, lo stesso Berlusconi, che in Senato aveva dovuto sottomettersi a quest’impostazione, ha fatto votare all’unanimità dal vertice del suo partito un documento in cui si dice chiaramente il contrario: se la decadenza sarà votata, in sostanza, il governo cadrà.
A questo punto le cose sono cambiate. Anche se gli irriducibili del centrosinistra continuano a dire che l’uscita dal Parlamento del condannato non può essere rinviata, ieri la proposta del Movimento 5 stelle di anticipare il voto dell’aula del Senato è stata bocciata. Non si voterà almeno fino al 22 novembre. E anche dopo, sarebbe quanto meno azzardato pensare di intrecciare le votazioni sulla legge di stabilità con quella sulla decadenza dell’uomo che un minuto dopo, o cercherebbe di far cadere il governo, come ha già annunciato, o metterebbe in campo una sorta di ostruzionismo contro l’approvazione del testo più indispensabile che il Parlamento deve approvare entro la fine dell’anno. La sensazione è insomma che molti degli argomenti portati dagli irriducibili di centrodestra potranno anche risultare pretestuosi. Ma anche che nel centrosinistra cominci a farsi strada una consistente pattuglia di meno irriducibili: che in silenzio, senza far proclami, preferiscono aspettare a far decadere Berlusconi, pur di salvare il governo e la legislatura.
La Stampa 30.10.13