Libertà, uguaglianza, diritti umani, passione per il proprio popolo, un’idea di politica lontana da qualsivoglia ambizione personale e dedicata invece a realizzare la democrazia come progetto collettivo, condizione che unisce le persone, superando ingiustizie, discriminazioni, privilegi: la storia di Aung San Suu Kyi, ieri ospite del Senato, è un simbolo straordinario e globale, che racchiude in un percorso umano la fatica, il dolore, la forza e la bellezza delle battaglie più nobili, quelle per cui vale la pena sacrificarsi e spendere fino all’ultima energia, quelle che sono capaci di ispirare generazioni in tutto il mondo.
La straordinaria personalità di San Suu Kyi ha arricchito e arricchisce tutti noi, insegnandoci, con la sua figura delicata ma dalla forza inscalfibile, una pragmatica spiritualità, una responsabilità che è dedizione della vita ad obiettivi più grandi di quanto normalmente riteniamo realizzabile da una sola persona.
Aung San Suu Kyi ha dimostrato a tutte le donne e tutti gli uomini del pianeta, chi esercita il potere ai livelli più alti e chi affronta quotidiana- mente la sfida della sopravvivenza, che ci sono valori per cui vale la pena battersi. Con il suo sorriso dolce e la forza brillante del suo sguardo ha dato luce alle speranze di un popolo, quello birmano, e insieme di tutti coloro che nel mondo condividono la sfida quotidiana della democrazia.
Ora la battaglia di una vita si avvicina ad una svolta, quella svolta ingiustamente sottratta al popolo birmano 23 anni fa.
Con la liberazione di Aung San Suu Kyi il 13 novembre 2010 e la sua elezione in Parlamento il 1° aprile 2012 si è avviato un processo di transizione democratica e di riconciliazione nazionale. In questo percorso è decisiva la riforma della Costituzione, con il superamento della discriminazione dell’attuale capitolo 3, che vieta di candidarsi alla presidenza a chi è sposato o ha figli di cittadinanza straniera. Una norma ingiusta che impedisce a San Suu Kyi (il cui marito scomparso e i cui figli hanno cittadinanza britannica) di realizzare compiutamente il destino democratico del suo popolo.
È compito dell’Italia, dell’Europa e di tutta la comunità democratica sostenere la transizione verso la democrazia del Myanmar.
L’Europa ha già incoraggiato il processo democratico, cancellando nella scorsa primavera tutte le sanzioni nei confronti del Myanmar, conservando solo l’embargo sulle armi.
Le mozioni che il Senato ha approvato pochi giorni fa, ultimo atto di una attenzione che in questi anni è stata forte e costante al destino del Myanmar, impegnano anche governo italiano a sostegno del processo democratico, guardandoballe elezioni del 2015, cui San Suu Kyi intende candidarsi, come occasione di completamento di quella transizione.
Il Myanmar è ancora Paese con disuguaglian- ze enormi, dove il 95% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e dove, secondo dati Unicef, il 10 per cento dei bambini non arriva ai cinque anni. Ci sono ancora gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di alcuni gruppi etnici o dei diritti di cittadinanza, ad esempio per il recluta- mento forzato dei bambini soldato. E ci sono ancora 43 carceri destinate a prigionieri politici e circa 50 campi di detenzione, dove gli internati sono ancora costretti ai lavori forzati.
Evoluzione democratica, rispetto dei diritti umani, superamento dei conflitti etnici, libertà: sono gli obiettivi dello sviluppo e della crescita economica e sociale del popolo del Myanmar, ma anche di tutta la comunità globale per la quale Aung Sann Suu Kyi è stata ed è esempio, che deve dimostrare di saper lavorare, insieme, per quell’unico premio che conta, come lei stessa ci ha ricordato ritirando il Nobel, 21 anni dopo averlo ricevuto: «Il premio per cui lavorare è una società libera, sicura e giusta dove la nostra gente possa sviluppare appieno il proprio potenziale».
È un obiettivo da condividere con energia e passione. È l’unico premio che rende nobile e utile la politica.
L’Unità 29.10.13