La buona notizia è che il divario tra uomini e donne nel mondo va lentamente diminuendo, ma chi è portato a vedere il bicchiere mezzo vuoto sa che l’uguaglianza tra i sessi è ancora una chimera. Ma è vero che nell’ultimo anno la distanza si è un po’ ridotta: lo rivela il rapporto annuale del World Economic Forum che stila una classifica sulle di- sparità di genere e che elegge l’Islanda l’Eldorado delle pari opportunità con il primo posto per il quinto anno consecutivo. A sorpresa, il rapporto vede l’Italia scalare nove posizioni rispetto al 2012. L’avanzamento del nostro paese mette quasi euforia, visto che interrom- pe un trend negativo che risaliva al
2009, ma l’entusiasmo finisce qui perché l’Italia non va più in là del 71° posto su un totale di 136.
Già, la ricerca prende in esame 136 paesi nei quali si concentra il 93% della popolazione mondiale per studiarne la questione delle pari opportunità in ambiti strategici: dal mondo economico a quello politico, dall’istruzione alla salute, fino alla stessa sopravvivenza.
Ebbene, in ben 86 nazioni il gap tra uomo e donna si è ridotto, soprattutto nel campo della partecipazione politica dove sono emersi i maggiori progressi. Ad eccezione del Medio Oriente e del Nord Africa che non hanno registrato nessun miglioramento nel corso dell’anno passato.
«Da quando il Wef ha cominciato a stilare la classifica nel 2006 l’80 % dei paesi ha fatto progressi – dice la coautrice della ricerca Saadia Zahidi – Quello che preoccupa però è che il 20 % dei Paesi o non li ha fatti, o è in ritardo».
In vetta alla classifica si trovano i paesi nordici europei di Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia, in fondo lo Yemen. Non mancano sorprese, come le new entry nella top ten delle Filippine (si sono distinte nei campi della sanità, dell’istruzione e dell’economia) e del Nicaragua (premiato per una buona performance in termini di emancipazione politica).
Nessuno stupore, invece, per la supremazia in materia dei Paesi nordici che vantano una lunga tradizione a investire nelle persone.
«Si tratta di piccole economie con piccole popolazioni – continua Zahidi – ma riconoscono che il talento conta e che questo è anche femminile».
È questo il punto. Perché ci sono paesi, come gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita, che di investimenti ne hanno fatti, ma non sono riusciti a integrare le donne in campo economico. Di contro ci sono molti paesi subsahariani che sulle donne non hanno proprio investito, ma ciononostante queste hanno svolto per necessità un ruolo impor- tante a livello economico.
Dei paesi del G20, invece, il più virtuoso è la Germania che comunque non va più in là del 14mo posto.
Il Regno Unito rimane a quota 18, mentre il Canada detiene la 20ma posizione, gli Stati Uniti la 23ma, la Russia la 61ma, la Cina la 69ma e l’India la 101ma.
In generale rimane ancora forte la distanza salariale tra i generi, con l’Italia che sale solo di due posizioni e raggiunge appena il 124° posto.
Va decisamente meglio in materia di salute, di sopravvivenza e di istruzione. «Le donne costituiscono la metà del capitale umano disponibile di qualsiasi economia e azienda, se i loro talenti non sono integrato non potrà che esserci una perdita sia per le donne e gli uomini», conclude Zahidi.
L’Unità 26.10.13