Scriveva Aldo Moro che «nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo». Ma mentre a Bruxelles i Paesi dell’Unione discutono di una linea comune per far fronte all’emergenza immigrazione, nel canale di Sicilia l’Italia è praticamente da sola e ad una settimana dal via dell’operazione «Mare Nostrum» l’impegno delle nostre forze armate inizia a dare i suoi frutti visibili.
Che si pesano coi numeri ma si misurano soltanto negli occhi di chi è scampato alle onde nere dopo ore di traversata su un legno malfermo e adesso sorride agli uomini della nave San Marco che li aiutano a salire a bordo. Di chi, nel buio della notte del Mediterraneo, ha visto avvicinarsi le luci dei mezzi di soccorso, si è aggrappato ai salvagente lanciati dagli elicotteri e su questa nave ha trovato salvezza e conforto. La conta della notte fra giovedì e venerdì è impressionante: 800 circa i migranti salvati in mare, fra loro oltre 100 bambini. Eritrei e siriani, per lo più, molte donne, tantissimi i nuclei familiari. Scappati dalla guerra e dal regime, molti stremati ma fortunatamente in buone condizioni, tanti altri ben vestiti e con cellulari, gente che non muore di fame ma che da questa parte del mare cerca pace e sicurezza. Alcune centinaia di loro le motovedette della Guardia Costiera li hanno portati fino a Lampedusa, altri quattrocento circa hanno trovato riparo nella pancia d’acciaio della San Marco, la nave che ospita il comando dell’operazione Mare Nostrum affidato all’ammiraglio Guido Rando. Novanta erano stati recuperati dal mercatile maltese Zapphire, 99 dal pattugliatore Cigala Fulgosi, 219 (tra cui 37 bambini) dalla corvetta Chimera. I barconi su cui viaggiavano sono stati rintracciati in mezzo al mare nero come la pece intrecciando i sistemi di localizzazione dei telefoni satellitari e le segnalazioni arrivate da altre imbarcazioni, e la macchina dei soccorsi è scattata immediatamente secondo i piani messi a punto in questa settimana, con gli elicotteri in volo e l’intervento dei mezzi più vicini. E se le condizioni del mare in questi giorni avevano concesso una tregua, adesso l’emergenza è di nuovo altissima.
I primi ad accogliere i migranti sulla nave sono stati gli uomini della Brigata San Marco, i fucilieri di Marina che si occupano dei mezzi da sbarco da utilizzare per i soccorsi in mare e, fra le altre cose, di perquisire le persone portate a bordo ed evitare qualsiasi rischio di sicurezza per la nave. Dopo i primi soccorsi poi (la San Marco all’occorrenza è dotata anche di una sala operatoria, un ambulatorio, un gabinetto odontoiatrico, una sala ginecologica e sala parto e un gabinetto radiologico) nella sala garage della nave è iniziata la lunga processione davanti alla postazione allestita nei giorni scorsi, come su ogni altro mezzo impiegato per la missione Mare Nostrum, dagli uomini della task force della polizia provenienti dagli uffici immigrazione e dalla Scientifica di diverse questura d’Italia. A loro, infatti, spettano le operazione di identificazioni dei migranti, di prelievo delle impronte digitali e di verifica attraverso i database della polizia di eventuali precedenti, altri ingressi irregolari in Italia o provvedimenti di espulsione già eseguiti. Un modo, fra l’altro, per provare ad individuare eventuali scafisti.
Accanto agli uomini della task force della polizia di stato anche i mediatori culturali della Onlus romana Cies. Eyob è uno di loro, ed è salito a bordo della San Marco martedì scorso. Ha 56 anni, è eritreo, vive a Napoli ed è arrivato in Italia nell’anno del Giubileo. «Non avevo mai visto il mare da qui, lontano dalle coste, dove si vede solo l’orizzonte e il blu», racconta. «È incredibile pensare a quanta sia la disperazione che spinge queste persone a scappare da casa propria e affrontare questo viaggio rischiando la morte». A lui spetta il compito di riconoscere dialetti, fare domande e provare distinguere chi è davvero eritreo da chi invece si spaccia soltanto magari alla ricerca disperata della possibilità di chiedere asilo. «Non è facile ci dice ed è una operazione molto delicata. Una grande responsabilità». Ora, riuniti i gruppi familiari, prestate le cure a chi ne aveva bisogno e terminate le operazioni di identificazione, la San Marco invertirà la propria rotta e tornerà verso la terra ferma dove i migranti saranno poi sbarcati e indirizzati nelle varie strutture che potranno ospitarli. Lontano, almeno in teoria, da Lampedusa dove dopo gli sbarchi di ieri il centro di accoglienza è di nuovo pericolosamente affollato. «Dopo che le navi avranno intercettato i barconi si chiedeva a Bruxelles il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini quale sarà il destino delle persone? Questo non ci è stato spiegato».
Nella serata di ieri poi, dopo una giornata lunghissima e convulsa, una nuova segnalazione ha attivato tutte le procedure di emergenza. Nei consueti briefing mattutini dei giorni scorsi dove i vertici dell’operazione decidono lo schieramento delle navi nelle aree di competenza previste da Mare Nostrum, i report dell’intelligence avevano avvertito che non appena il meteo avrebbe concesso una tregua i viaggi dalla Siria o dal Nord Africa sarebbero ripartiti e ci sarebbe stato da scrutare il mare alla ricerca di imbarcazioni. Le navi italiane lo fanno da anni con quel dispositivo nazionale di individuazione e soccorso che ha già salvato la vita a migliaia di migranti. Adesso, però, la crisi siriana ha reso tutto più difficile e l’Italia ha deciso di aumentare i propri sforzi per evitare altre tragedie. Un impegno gravoso (e costoso) che non può essere lasciato tutto sulle nostre spalle. Per questo mentre nel canale di Sicilia si scruta il mare con i radar o a occhio nudo dagli aerei o dai ponti delle navi («Resta il modo migliore spiegano i marinai perché molte imbarcazioni sfuggono ai controlli elettronici») è da Bruxelles che si attendono notizie. Perché «nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo». Anche se da qui, in mezzo alle onde a metà strada fra Lampedusa e l’Africa, l’Europa sembra lontanissima.
L’Unità 26.10.13