Come, quando e in che misura la National Security Agency ha catturato le comunicazioni italiane? Nei primi giorni di ottobre, a Washington, il generale John Inglis, vicedirettore dell’Agenzia americana per lo spionaggio elettronico, accoglie i cinque componenti della delegazione italiana del Copasir (il Comitato parlamentare di controllo sui Servizi) in missione negli Stati Uniti con un largo sorriso e una battuta fulminante. «Benvenuti. Vorrei spiegarvi innanzitutto cosa facciamo qui alla Nsa. Noi raccontiamo la storia delle cose che non sono mai accadute».
«Cose che non sono mai accadute». Per chi in quei giorni andava cercando risposte chiare a un quesito semplice (Ci avete spiato? Come?) sollevato in luglio dalle rivelazioni di Snowden, le parole del generale non suonano esattamente un manifesto della trasparenza. Piuttosto come l’allusiva rivendicazione di un lavoro di “prevenzione” che richiede solo buio fitto. E tuttavia, delle informazioni che Inglis ritiene di dover fornire in quell’occasione, non è soltanto il deputato di Sel Claudio Fava a conservare un nitido ricordo, ma anche il presidente del Copasir, il leghista Giacomo Stucchi. «Nella sede della Nsa – dice oggi Stucchi – ci è stato spiegato che l’Agenzia ha raccolto informazioni sui dati di traffico telefonico e telematico. Ma ci è stato anche detto che nessuno in Italia, né l’autorità politica, né la nostra intelligence, era stato messo al corrente di quello che la Nsa stava facendo. Ricordo anche che è stato escluso che le intercettazioni a strascico del programma “Prism” possano aver indiscriminatamente riguardato cittadini del nostro Paese. Non fosse altro perché quel programma, a quanto ci è stato riferito, è dotato di filtri che limitano o interrompono il flusso di informazioni intercettate quando riguardano Paesi alleati cui l’America è legata da particolari vincoli di amicizia».
Un primo punto, dunque, pare assodato. Non fosse altro perché almeno su questo i ricordi di Fava e Stucchi paiono concordi. La Nsa ha intercettato e catturato nel tempo i dati di traffico delle telecomunicazioni anche dell’Italia. Ma non all’interno dei nostri confini (come per altro oggi il governo andrà a riferire al Copasir con l’audizione del sottosegretario con delega alla sicurezza nazionale Marco Minniti). Bensì ogni qual volta il traffico di comunicazioni e dati generato all’interno del nostro Paese si è appoggiato o è transitato, per ragioni tecniche e per l’architettura integrata che hanno i sistemi di comunicazione su scala globale, su “carrier”
statunitensi o nella piena disponibilità americana. Parliamo cioè di provider internet (chiamate Skype, traffico di e-mail, navigazione in rete), piuttosto che di produttori di smartphone (messaggistica gratuita) o di compagnie telefoniche Usa. Spiega Fava: «A meno che qualcuno non voglia fare volutamente confusione, quello che gli americani ci hanno spiegato è che per quanto li riguarda tutte le comunicazioni generate in paesi terzi, compresa l’Italia, una volta fuori dallo spazio fisico sovrano dei singoli Paesi e dunque della loro disponibilità possono essere raccolte. Parliamo di tabulati telefonici, come anche di business record: dalle carte di credito, alle biglietterie aeree, ai database di pubblico accesso».
Non a caso, in quei giorni a Washington, alla delegazione del Copasir, la Nsa consegna un documento declassificato in cui l’Agenzia illustra in forza di quali leggi ed entro quali ambiti eserciti i suoi poteri di intrusione telematica all’estero. «L’executive Order presidenziale 12333 – si legge – consente di individuare come obiettivi cittadini non americani all’estero e di raccoglierne le telecomunicazioni senza che sia richiesta alcuna autorizzazione di una Corte di giustizia federale». E ancora: «Il Foreign Intelligence Surveillance Act, al titolo I, autorizza la sorveglianza di cittadini non americani presenti negli Usa e poco frequentemente all’estero, salvo autorizzazione di un giudice federale». Mentre gli «Emendamenti 702, 704 e 705b ai titoli V e VII del Foreign Intelligence Surveillance act (norme di legge approvate all’indomani dell’11 settembre ndr.), autorizzano la raccolta di “business records” e di “metadati” di traffico riguardanti stranieri e cittadini americani all’estero attraverso providers e carriers americani».
Non è dato sapere (l’Intelligence Usa non lo avrebbe mai comunicato né alla nostra autorità politica, né ai nostri Servizi) la qualità del traffico dati italiano intercettato. E tuttavia, proprio il generale Inglis lascia scivolare durante l’incontro con il Copasir un’informazione che suona come un invito all’autorità politica italiana a non recitare la parte di chi cade dal pero quando si parla di spionaggio elettronico all’estero. «Sappiate – dice il vicedirettore del Nsa ai nostri parlamentari – che grazie al lavoro che facciamo qui abbiamo sventato 54 attentati. Uno proprio in Italia, a Napoli. Nel settembre del 2010». Una vicenda che ebbe come protagonisti cittadini algerini che avevano raggiunto il nostro Paese dalla Francia. Che trovò una fugace visibilità nelle cronache e si chiuse con l’arresto dei “
targets” di cui la Nsa rivendica ora l’individuazione.
La Repubblica 23.10.13