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“Quattro idee di Pd. Presentate le mozioni”, di Simone Collini

Gianni Cuperlo punta sulla «rivoluzione della dignità», Matteo Renzi ribadisce la necessità di «cambiare verso», Gianni Pittella si candida «per un partito democratico, solidale, europeo» e Giuseppe Civati rilancia il suo slogan «dalla delusione alla speranza: le cose cambiano, cambiandole». I documenti congressuali dei quattro candidati alla segreteria del Pd sono stati depositati e da ieri sera sono consultabili sul sito web del partito, pubblicati nello stesso ordine che (da sorteggio effettuato la settimana scorsa) ci sarà sulle schede delle primarie dell’8 dicembre.

Nei testi vengono approfondite e dettagliate le tesi espresse fin qui dai candidati ed emergono con ancor più nettezza le idee che hanno sia sul Pd che sulle principali sfide di fronte al Paese. Renzi, che parla della necessità di una «rivoluzione radicale» e illustrerà ampiamente il documento alla Leopolda che si apre venerdì, punta il dito contro il «calo degli iscritti», dice che alle politiche il Pd ha perso perché «gli italiani non hanno considerato sufficientemente forti i nostri leader», insiste sul fatto che bisogna incassare anche i consensi dati in passato al centrodestra e a Grillo perché «non è uno scandalo ma logica» che «se non si ottengono i voti di coloro che non hanno votato il Pd alle precedenti elezioni, si perde» e scrive fin dalla premessa che «ci meritiamo di più, e tocca a noi cambiare verso», che «abbiamo bisogno di una lettura sincera della sconfitta» dello scorso febbraio, e che «tutti quelli che dicono che questo congresso ha un risultato già scontato vogliono allontanare la nostra arma più preziosa: la partecipazione».

Anche nel documento di Cuperlo si sottolinea la necessità di «cambiare il Pd» per cambiare l’Italia, ma si indicano come strade per farlo il «recuperare la nostra auotonomia culturale» e il «cambiare il modo di stare tra le donne e gli uomini che sceglie di rappresentare, a cui vuole dare voce e potere». Si legge poi circa le sconfitte più o meno recenti che «chi pensa che basti sostituire gli attori senza cambiare lo spartito di questi vent’anni, non ha capito ciò che è accaduto e la sfida che abbiamo di fronte».

Tante le differenze tra i documenti dei due principalli sfidanti per la segreteria del Pd. Non ultimo, Cuperlo fa riferimento al sostegno «con lealtà e autonomia a Letta», mentre Renzi non cita mai il premier. O la contrarietà del primo rispetto a «doppi e tripli incarichi». O il fatto che il sindaco definisca un «parametro anacronistico», che «soffre problemi di credibilità» e da superare il rapporto del 3% deficit/Pil e il deputato triestino che invece sottolinea la necessità di rimanere al di sotto di quella percentuale ma portando il deficit «dal 2,5 pre- visto al 2,7» per poter poi destinare i 3 miliardi che ne deriverebbero ad esodati, occupazione giovanile e ad un pro- gramma di investimenti («avrebbe un impatto virtuoso sulla crescita e l’occupazione»): «Al primo posto c’è il lavoro».
Un’altra differenza è che Renzi fa riferimento all’Europa ma non alle famiglie politiche europee, mentre Cuperlo propone che il Pd partecipi al congresso del Pse del prossimo febbraio «e in quella sede concorra alla costituzione del Partito dei socialisti, dei progressisti e dei democratici europei», completando così il percorso avviato con la costituzione del gruppo a Strasburgo: «collocando i democratici italiani nel Pse, e al tempo stesso contribuendo al suo allargamento e rinnovamento».

Cuperlo

Per la rivoluzione della dignità» è il titolo della mozione congressuale di Gianni Cuperlo. Si parte sottolineando che «il Pd può guidare la riscossa civile, economica e morale del Paese» ma anche che «per cambiare l’Italia il Pd deve cambiare se stesso»: «Dobbiamo recuperare la nostra autonomia culturale. Non lo si fa da soli, ma alzando lo sguardo sul mond». Si legge che «la sinistra ha reagito con debolezza all’affermazione di un liberismo senza freni e vincoli, di un’economia piegata alla speculazione finanziaria» e che «in quel passaggio è maturata una sconfitta culturale prima che politica, quando le forze progressiste hanno ceduto all’idea che compito loro, e nostro, fosse temperare gli effetti sociali negativi di quel modello». Scrive Cuperlo: «Abbiamo subito, e talvolta assimilato, la personalizzazione della politica e il mito dell’uomo solo al comando. L’effetto è stato uno svuotamento del Parlamento e delle istituzioni che ha indebolito anche la nostra capacità di rappresentare le fasce deboli e chi la crisi l’ha pagata di più sul piano morale e materiale. Chi pensa che basti sostituire gli attori senza cambiare lo spartito di questi 20 anni, non ha capito ciò che è accaduto e la sfida che abbiamo di fronte».

Nel documento si propone di far partecipare il Pd al prossimo congresso del Pse «collocando i democratici italiani nel Pse, e al tempo stesso contribuendo al suo allargamento e rinnovamento», si parla di un sostegno a Letta «con lealtà e autonomia» per migliorare la manovra finanziaria sapendo che la responsabilità del Pd «è incalzare il governo sul lavoro e si propone «una convenzione per il nuovo Pd»: «La distinzione delle figure del candidato premier e del segretario del partito non può esse- re trattata come un cavillo. È una scelta politica e culturale. L’identificazione dei due ruoli non ha funzionato proprio perché il governo da solo non ce la fa. Il migliore di tutti noi da solo non ce la fa. (…) Il partito non è un comitato elettorale permanente a servizio dei candidati alle varie competizioni elettorali. La distinzione tra incarichi di partito, a tutti i livelli, e incarichi nei governi, a tutti i livelli, deve essere sancita come un impegno comune della rinascita del Pd».

Renzi

Matteo Renzi insiste fin dal titolo del suo documento congressuale che ora bisogna «Cambiare verso». Scrive nella premessa: «La sinistra vince solo quando costruisce il futuro, non quando si chiude sul presente». Scrive anche che «abbiamo bisogno di una lettura sincera» delle cause della «sconfitta» delle ultime politiche. La premessa si chiude con queste parole: «Tutti quelli che dicono che questo congresso ha un risultato già scontato vogliono allontanare la nostra arma più preziosa: la partecipazione».

Il primo paragrafo è dedicato al partito e al calo dei tesserati: «Avevamo detto di dimezzare i parlamentari, non di dimezzare gli iscritti. I dirigenti centrali che spiegavano come fosse meglio un partito pesante rispetto a quello leggero hanno finito con il lasciarci un partito gassoso». Poi Renzi sottolinea che «si vince recuperando consensi in tutte le direzioni: centrodestra, Grillo, astensioni»: «Non parliamo solo ai gloriosi reduci di lunghe stagioni del passato. Vogliamo parlare a chi c’era, e coinvolgerlo. Ma anche a chi non c’era». Dice facendo riferimento alle primarie dell’anno scorso e alle persone «respinte ai seggi»: «Siamo stati bravi a farci del male». Renzi scrive che i democratici saranno «custodi del bipolarismo», che verranno «rispettati sempre i nostri competitor interni, perché non ci sono ‘fascisoidi’ nel nostro partito!», e «rottameremo innanzitutto le correnti». Scrive anche che serve «un partito che sappia comunicare bene perché la parola comunicazione non deve fare paura: chi non comunica è perduto».

Nella parte intitolata «il Pd deve cambiare l’Italia» si legge che «all’Italia non bastano piccoli aggiustamenti, ma serve una rivoluzione radicale», che «tutto ciò che otterremo dal recupero dell’evasione fiscale dovrà essere utilizzato soltanto per riduzione delle tasse», che «il Pd che noi vogliamo è il partito dei diritti» e «della legalità, che è un valore sempre, per tutti non solo contro uno».

Si legge infine nelle conclusioni: «Per cambiare verso propone per la guida del Pd, proponiamo Matteo Renzi, 38 anni, sindaco di Firenze dal 2009. Matteo è molto conosciuto per i suoi slogan, ma il suo slogan migliore è la concretezza delle cose realizzate da amministratore».

Pittella

In Italia non siamo riusciti a trovare sistemi e strumenti per gestire il cambiamento e l’innovazione e siamo ancora immersi in una crisi strutturale e profonda. Gli scambi tra imprese e imprese si sono ristretti considerevolmente, la circolazione del capitale sta interrompendosi in una fase di deflazione che sta causando l’abbassamento sia dei margini delle imprese che dei consumi degli italiani.

La crisi che aggredisce il nostro Paese non è soltanto economica ma anche etica, sociale e politica. Una crisi che ha portato l’Italia sull’orlo dell’abisso. Ma oggi è il momento per tornare a determinare le nostre possibilità

(…) È necessario un Partito democratico vivo ed energico, che deve saper essere campo largo delle forze progressiste italiane, un partito di ispirazione europea, aperto alla società e al confronto con l’associazionismo diffuso, una forza politica che renda protagonista ciascun militante nell’impegno per costruire uguaglianza ed opportunità. Il Partito democratico deve diventare un partito speranza, capace di mobilitare intelligenze, competenze e passioni, superando la cultura della contrapposizione e dell’indifferenza. Occorre una vera rigenerazione del partito sul piano culturale, progettuale e programmatico. Dopo la sconfitta alle elezioni politiche dello scorso febbraio ed avendo preso finalmente coscienza dei nodi irrisolti che ci trasciniamo dietro sin dalla nascita del partito, il nuovo momento che viviamo potrà essere la Bad Godesberg annunciata e mancata all’origine dell’ambizioso progetto che è il Partito democratico e finalizzare il nostro impegno alla costruzione di un’area autenticamente alternativa alla destra conservatrice.

(…) Il Partito democratico deve riappropriarsi della parola libertà, una libertà dei moderni che sappia relazionarsi con responsabilità, solidarietà e uguaglianza. In una dimensione empatica e per una sintesi superiore che riesca a riannodare i fili spezzati di una libertà sequestrata dalla destra interpretata soltanto come la chance di assecondare gli istinti di un individualismo esistenziale e sociale, inevitabilmente in conflitto con l’obiettivo del bene comune e dell’interesse generale.

Civati

Il Pd, oggi al governo in una coalizione innaturale e che assume sempre più i connotati di un disegno politico nato in un accordo di Palazzo anziché da una proposta elettorale, ha bisogno innanzitutto di ritrovare il proprio profilo culturale e politico, e nel farlo ha il dovere di ricostruire il popolo della sinistra facendo in modo di essere da questo attraversato: per chiudere un ventennio, ci vogliono libere elezioni democratiche, con una nuova legge elettorale, che avremmo potuto e dovuto già avere individuato. Prima ancora di selezionare i propri dirigenti (dai circoli al segretario) un congresso dovrebbe servire a dire chi siamo e cosa vogliamo fare quando siamo al potere e che rapporto avremo con esso.

(…) Un congresso è un patto che si rinnova con i propri iscritti ma è anche il processo con cui ci si contamina e si può crescere: al nostro esterno si agitano fenomeni e esperienze che ispirano la propria azione a quegli stessi valori a cui facciamo riferimento. Le proteste sociali dei sindacati, i comitati civici e le associazioni a tutela del territorio e dei beni comuni, il parallelo congresso di Sel che vorremmo fosse già con noi, i movimenti degli studenti, le innumerevoli esperienze di mobilitazione che trovano una sintesi nell’idea delle Costituzione come progetto da condividere ed attuare, tutti quei singoli che da soli si battono per una politica differen- te, per una società più giusta ed eguale, con tutti loro abbiamo il dovere di confrontarci e se possibile contaminarci. (…) Dobbiamo recuperare il senso del mondo intorno a noi, dopo averlo dimenticato per vent’anni e insomma perduto. Il movimento progressista è nato in Europa un secolo e mezzo fa con un’ispirazione e un’organizzazione fortemente internazionalista, dissoltasi poi nel corso di divisivi eventi storici. Si tratta di rafforzare il Partito del Socialismo Europeo, aprendolo alla “contaminazione” della cultura ecologista espressa dai Verdi Europei e ad alcune proposte radicali-riformatrici della Sinistra europea, nonché alle caratteristiche del progetto dell’Ulivo, che abbiamo affossato in Italia ed esportato in Europa soltanto in occasione della presidenza di Romano Prodi.

l’Unità 22.10.13