“Non andiamo con la stessa barca perchè spesso le barche affondano, e uno di noi deve sopravvivere per raccontare dell’altro, per raccontare di noi”. Questo aveva detto ad Alì il suo compagno di avventura al momento della partenza per Lampedusa. Da questa frase, oggi più che mai drammaticamente vera, addirittura in attesa come siamo di un «cimitero per i migranti», Giancarlo Rigon e Giovanni Mengoli hanno voluto scrivere un saggio di straordinaria limpidezza narrativa che nulla concede al vuoto sensazionalismo della contemporaneità, focalizzando piuttosto l’attenzione su alcune «vite» di ragazzini, cittadini stranieri, che si trovano nel nostro paese privi di assistenza e rappresentanza da parte di genitori o di altri adulti legalmente responsabili per loro. «Minori stranieri non accompagnati» si definiscono e in Italia, nel 2012, ne sono stati segnalati 7.575 dei quali molti sono poi spariti, vittime di quella «invisibilità» che li caratterizza sino dal loro arrivo. Così, con semplicit-à e immediatezza, nel libro Cercare un futuro lontano da casa. Storie di minori stranieri non accompagnati (pp. 120, euro 10, Edb) si raccontano le tragedie e le speranze di alcuni ragazzini, appena adolescenti.
Diciamo subito che non sempre sono storie a lieto fine. Alcune sono storie ancora senza fine e comunque sono storie che iniziano male, in luoghi sfortunati e proseguono a stento: tra pericoli, ferite, cadute, miserie, separazioni e tradimenti, fughe e inciampi. Sono storie epiche per loro: piccoli eroi senza volerlo. Perché è vero che sono miracolosamente vivi, però non sono illesi. Se avessero voce, se non fossero «invisibili», chiederebbero solo il rispetto del diritto di asilo politico e il riconoscimento dell’identità, indispensabili per crescere. Invece loro, che hanno fra i dodici e i sedici anni, hanno il terrore di compiere quei diciotto anni che segnano il passaggio a una condizione giuridica differente: da minori passeranno a essere solo stranieri!
Provengono da terre dove soffiano venti di guerra oppure dove disperazione degrado e miseria non danno speranza. Hanno calli nelle mani e una falsa furbizia negli occhi, magari sono già passati dalla prigione o hanno vissuto nei campi profughi o combattuto, a forza, nelle milizie islamiche. Scappano dai guardiani della fede, da dittatori sanguinari, da famiglie spezzate e rase al suolo dalla cieca barbarie dell’odio. Scappano e viaggiano talvolta anche aggrappati a due tavole di legno tra le ruote di un tir, o nascosti per giorni tra frutta e verdura, o semiassiderati in celle frigo. Odissee. Cercano nell’Europa, una terra, un paese, dove stare tranquilli, dove nessuno ti fa morire e ti fa del male e dove magari, lavorando, si possono persino mandare i soldi a casa, a chi è rimasto. Si chiamano Mehdi, Ahmed, Alì, Arif, Hamin, Bledar, Irina, Mohamed, Tarik e Mudassar, ma una volta in Italia, per loro, inizia un altro viaggio, verso l’integrazione in un paese ignoto. E questo secondo viaggio è contrassegnato da ostacoli di tipo diverso, sgambetti burocratici e non solo…, certo non meno insidiosi, come commenta anche Giannantonio Stella nella sua rigorosa prefazione. E se al loro fianco ci sono gli educatori delle comunità che, oltre e al di là degli ingiusti tagli economici, continuano a svolgere il loro cruciale compito, le conseguenze di tanti patimenti si fanno sentire. Non di rado i ragazzini di giorno si tagliano per dar nome a quel cumolo di sentimenti che preme dentro e la notte gridano urli di guerra oppure proprio non dormono, perché hanno visto che, nella traversata verso Lampedusa, chiunque si addormentasse veniva gettato in acqua, per alleggerire la carretta del mare.
In più, in questo imperdibile libro, alle storie narrate seguono commenti autorevoli: da Ballerini, a Prodi, da Lerner a Zampa a Frascaroli, Giovannini, Guerra, Milano e ancora Spadafora.
Voci di denuncia per far da coro a piccole biografie, che nulla hanno da invidiare a Remì, il trovatello di Senza famiglia, o a Marco, il bambino che traversò Dagli Appennini alle Ande per raggiungere la mamma malata. Un libro, dunque, uno scritto per lasciare traccia di queste vite ignorate, e per pensare che una via d’uscita è possibile sempre che gli sguardi di tutti non si voltino dall’altra parte e non ci si rassegni all’idea che tutto questo scempio sia perfettamente normale.
L’Unità 21.10.13