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“La condanna per l’eccidio. Cefalonia. Giustizia è fatta, ergastolo”, di Adriana Comaschi

Sono passati settant’anni, ma ieri il boia di Cefalonia è stato condannato all’ergastolo. Alfred Stork, 90 anni, è stato giudicato colpevole dal Tribunale militare di Roma di aver ucciso 117 ufficiali italiani. Il verdetto arriva in contumacia. L’Anpi: «Finalmente».
«Finalmente un po’ di giustizia». Le parole dell’Anpi fotografano un’attesa lunga 70 anni. Tanto ci è voluto infatti perché si arrivasse, ieri, alla prima condanna per l’eccidio di Cefalonia, perpetrato dai tedeschi nei confronti dei militari italiani della divisione Acqui. Ed è ergastolo per l’ex nazista Alfred Stork, 90 anni, giudicato colpevole dell’uccisione «di almeno 117 ufficiali». Una sentenza storica, anche per il riconoscimento del diritto al risarcimento (che verrà definito in seguito) delle parti civili, tra cui è stata ammessa l’Anpi.
La sentenza di primo grado della seconda sezione del Tribunale militare di Roma, presieduta da Antonio Lepore, è senza precedenti in Italia sui fatti di Cefalonia, e la prima in Europa dopo Norimberga (i giudizi precedenti si sono conclusi con un’archiviazione, o per la morte dell’imputato). Il verdetto arriva però in contumacia: l’ex caporale del 54° battaglione «Cacciatori da Montagna» vive tranquillo in Germania a Kippenheim e ha sempre evitato il processo. Secondo un copione consolidato, il suo legale Marco Zaccaria insiste sulla tesi del subordinato costretto a obbedire ai superiori: «Stork è un capro espiatorio, era un semplice caporale che non poteva disattendere quegli ordini, in quel particolare momento storico». L’avvocato tira in ballo «il clima di questi giorni sul caso Priebke, può avere avuto il suo peso» e annuncia che presenterà appello non appena saranno disponibili le motivazioni (per cui il Tribunale si è riservato 60 giorni): «La condanna è eccessiva. E resta da vedere quale sarà la posizione della Germania di fronte a un’eventuale richiesta di estradizione».
UNA COMODA DIFESA
Lo stesso Stork ha ammesso di avere fatto parte di uno dei due plotoni di esecuzione dei militari italiani alla «Casetta Rossa»: qui caddero 129 ufficiali, i corpi poi ammassati uno sull’altro, praticamente l’intero stato maggiore della Acqui. L’ex nazista ne parla nel 2005 davanti ai magistrati tedeschi (senza difensore, la confessione è dunque inutilizzabile), e si dipinge come chi ha «solo» obbedito a degli ordini. Una linea contro cui si scaglia il procuratore militare di Roma Marco De Paolis, quando a marzo 2012 firma la richiesta di rinvio a giudizio per Stork. Con ragioni evidentemente accolte dal Tribunale. La condanna, sottolinea allora De Paolis, «afferma un princìpio molto importante: gli ordini illegittimi non devono essere eseguiti, nessuno può farsene scudo per giustificare crimini tanto orrendi. Anche i soldati devono rifiutarsi davanti a ordini scellerati. In tanti hanno detto no, e le fucilazioni non sono proseguite».
A Cefalonia non fu così. L’8 settembre 1943 Badoglio annuncia l’armistizio con gli angloamericani. La reazione degli ex alleati nazisti piomba anche su quest’isola, presidio al golfo di Corinto, dove sono di stanza la divisione Acqui oltre che carabinieri e forze della Regia Marina, protagonisti di una strana convivenza con i greci: non sparano un colpo, gli italiani, e per questo si fanno benvolere. I sopravvissuti ricordano la speranza, caduto il fascismo il 25 luglio, di poter finalmente tornare a casa. Dopo l’8 settembre invece la situazione precipita, l’ordine dalla Germania è che gli italiani consegnino le armi, in caso contrario saranno uccisi. Il generale Gandin, comandante della Acqui, prende tempo, molti dei suoi uomini decidono di fare resistenza, inizia la battaglia. Ma hanno «lo status di prigionieri di guerra», ricorda l’accusa a Stork, quelli poi fucilati senza pietà, «essendo nel frattempo intervenuta la resa delle truppe italiane nei confronti delle forze armate tedesche». E le convenzioni internazionali «imponevano un trattamento umano per i militari che avevano deposto le armi».
«Quello della divisione Acqui fu il primo atto di resistenza militare ricorda Ernesto Nassi, vicepresidente Anpi Roma e per questo migliaia di militari furono assassinati dalla ferocia nazista. Questa sentenza restituisce un po’ di giustizia, riportando l’attenzione sui fatti di Cefalonia». Ma il bicchiere è mezzo pieno per lo stesso Pm, soddisfatto «al 50% perché la sentenza arriva troppo in ritardo, sa di giustizia imperfetta». Parla poi di «colpevole ritardo» della giustizia il presidente dell’Anpi nazionale, Carlo Smuraglia, che rivendica però «lo sforzo investigativo del Procuratore militare e la caparbia tenacia di alcuni familiari delle vittime, delle associazioni e dell’Anpi». La cui ammissione a parte civile ne certifica l’impegno «a non disperdere il messaggio antifascista». L’Anpi Roma ha filmato tutte le udienze del processo Stork: ne farà un documentario «per colmare un buco nella memoria storica del nostro paese».

L’Unità 19.10.13