Le reazioni alla legge di stabilità sono state per lo più critiche e di delusione. In taluni casi appaiono fondate. Eppure le novità nella manovra sono assai significative e ampi spazi si offriranno a breve per ulteriori modifiche e miglioramenti. Sfruttarli appieno da parte di tutti, a partire dal Parlamento, potrebbe avere un impatto rilevante sulle sorti future della nostra economia.
Partiamo da un dato di fatto, cioé l’espansione dell’attività economica in corso in Europa e a livello globale. Anche nell’area dell’euro la produzione è tornata a crescere nel secondo trimestre di quest’anno, dopo sei periodi consecutivi di riduzione.
Gli indicatori congiunturali più recenti prevedono una prosecuzione della ripresa, a ritmi moderati, nel corso del 2014. Anche l’economia italiana ha cominciato a mostrare i primi segni di un’inversione di tendenza, grazie soprattutto al buon andamento delle esportazioni. Le prospettive per noi rimangono comunque fragili. Il consolidarsi dei segnali di ripresa e la loro trasformazione in un percorso sostenibile di crescita dipenderanno in larga misura dalle scelte dei prossimi mesi. Una crescita che appare obbligata per il nostro paese sia per garantire la sostenibilità del nostro debito pubblico che per frenare e invertire l’aumento drammatico della disoccupazione. La legge di stabilità e le misure in essa prospettate vanno lette all’interno di questa fase di transizione. Esse sono state pesantemente criticate, innanzi tutto, perché poco coraggiose, sia nei contenuti che nelle scarse risorse stanziate. Sono delle critiche mosse da chi invoca a piè sospinto riduzioni shock del carico fiscale e/o forti ammontare di risorse da impiegare per il rilancio dell’economia, ma senza spiegare dove trovare le risorse. Se non immaginando rapidi quanto improbabili tagli della cosiddetta spesa pubblica «improduttiva». Com’è noto, negli ultimi anni in conseguenza delle politiche restrittive adottate si sono verificate prime riduzioni della spesa pubblica nominale (al netto degli interessi). Certo non bastano e dovranno aumentare in futuro ma solo attraverso operazioni di ristrutturazione e riconversioni dell’apparato pubblico (spending review), che richiedeno necessariamente tempi lunghi e strumenti d’intervento adeguati.
Al di là delle novità importanti contenute nella legge di stabilità, il problema è semmai un altro. Per sperare di agganciare la ripresa e tornare a crescere occorre in questa fase sostenere e rivitalizzare la domanda aggregata, in particolare quella interna fatta di consumi e investimenti, e, allo stesso tempo, iniziare a rimuovere quelle rigidità strutturali, sul fronte dell’offerta, che hanno abbassato fin quasi ad azzerare il tasso di crescita potenziale della nostra economia. La legge di stabilità, nell’attuale sua formulazione, contiene misure espansive ma che appaiono troppo timide e poco concentrate sugli interventi in grado di avere gli effetti moltiplicativi maggiori, a parità di onere per il bilancio pubblico. Così si rischia di non agganciare la ripresa.
In particolare il taglio del cuneo fiscale, presentato fin dall’inizio come il tassello centrale della manovra, non appare in grado, per le poche risorse ad esso dedicate, di sostenere adeguatamente la ripresa che si profila. Si può comunque migliorare concentrando di più il beneficio sui redditi più bassi, ma per dargli efficacia e produrre una auspicabile spinta ai consumi si dovrebbero stanziare molte più risorse, così ingenti che al momento non appaiono reperibili.
Più utile è concentrare le risorse – quelle già stanziate e le altre da poter reperire – in un pacchetto di misure di stimolo all’economia incentrate su tre comparti in particolare: gli investimenti pubblici, il credito alle imprese, le politiche sociali. Tutti comparti ad elevato effetto di spesa.
Nel caso degli investimenti pubblici (che restano la voce di bilancio con il moltiplicatore più alto) oltre allo sblocco già annunciato di un miliardo di investimenti per il patto di stabilità e ai 3,2 miliardi per le opere pubbliche, si potrebbero favorire investimenti aggiuntivi in tutta una serie di settori innovativi, quali infrastrutture immateriali, innovazione e ricerca, terzo settore, e altri.
In tema di credito alle imprese, all’operazione già prospettata di rifinanziamento del Fondo di garanzia per le Pmi, pur se in misura (1,8 miliardi) ancora inadeguata alle richieste, si potrebbero aggiungere garanzie dello Stato su rischi non assicurabili dai mercati coinvolgendo nell’operazione la Cassa depositi e prestiti al pari di quanto avviene da tempo in altri Paesi europei, come Germania e Francia. Infine sul tema del sociale, spazi di intervento importanti su cui investire risorse, anche per obiettivi di equità, si aprono, ad esempio, in tema di ammortizzatori sociali, ampliamento dell’indicizzazione delle pensioni, fondi per i non autosufficienti, intervento per le disabilità.
Nel complesso si tratterebbe di modificare e migliorare la manovra di stabilità per darle più forza quale azione di stimolo all’economia in questa decisiva fase di transizione per agganciare la ripresa e trasformarla nell’avvio di una vera e propria fase di crescita già a partire dalla prima metà del prossimo anno. È uno scenario realistico che oltre a segnare una vera discontinuità rispetto a questi ultimi cinque anni di crisi offrirebbe una base di partenza forte nel negoziato con l’Europa nell’ambito del semestre europeo.
L’Unità 19.10.13