Giornata della memoria, musei, sacrari, programmi scolastici, seminari. E ancora: romanzi, film, correva l’anno, teche Rai, documentari di History Channel. La memoria istituzionalizzata, pubblica, condivisa, si regge su riti, luoghi, momenti che non si discutono. SEGUE A
Eppure, la memoria è cosa fragile, a rischio, spesso sotto attacco di revisionismo, negazionismo addirittura. E quindi va protetta, sostenuta, alimentata, come giustamente non ci si stanca di ripetere. Eppure, puntualmete, anche il discorso sulla memoria può dividere. Tanto è benedetta, incoraggiata e sostenuta una memoria del ricordo, una memoria tramandata, tanto è derisa e vilipesa qualsiasi memoria «militante». Si sa, per definizione la memoria è cosa che pesca dal passato per guardare all’oggi e al domani. Eppure quando la memoria si declina al presente – quando per così dire si colgono i frutti di quel ricordo difeso e protetto, quando si mette in pratica la lezione della memoria – ecco scattare i distinguo, le dissociazioni, ecco spuntare un «buonsenso» che quella memoria tende a negarla.
Si dirà (e si è detto) che quello di Albano Laziale non è stato un bello spettacolo. Vero. Ma vero anche che la rivolta, spontanea e sincera, contro il feretro maledetto del boia Priebke è stata una manifestazione di rabbia vera, popolare, viva, contro lo sfregio del passaggio di quella salma che nessuno voleva. È il caso più recente, ma non l’unico. Tutti si adoprano a celebrare la memoria, ma quando per Milano passa un corteo di croci uncinate e passi dell’oca, si trova sempre chi giustifica e sopporta. E quando un sindaco lombardo (a Cantù) concede agibilità ai nipotini dichiarati di Priebke, provenienti da tutta Europa, lo scandalo non sembra poi così grande. È uno strano testacoda. Viva la memoria, quando è museale, teorica, quando non sporca, quando non blocca il traffico, quando non riguarda l’oggi. E invece, colpo di scena, abbasso la memoria quando si applica nella vita reale, quando risponde ad offese brucianti in presa diretta, quando sputa e tira calci.
Non dovrebbe essere questo, la memoria? Ricordare le vergogne passate per evitarne di nuove? E non sarebbe una buona applicazione della memoria – materia tanto benedetta – impedire di insultare una ministra di colore? O impedire marcette nazifasciste in una città italiana?
C’è una sorta di doppia morale nei commenti, così sensati e posati, così benpensanti e ragionevoli, ai fatti di Albano. Un apprezzamento senza se e senza ma di una memoria teorica, e una condanna variegata («incivile», «becera», «sguaiata», eccetera) di una memoria viva, vorrei dire militante. Impedire che in una città medaglia d’oro della Resistenza (Milano, per dire) passi un corteo di camicie nere con il braccio teso, o che si tenga un funerale indesiderato dalla popolazione in una cittadina partigiana (Albano, per dire) è questo: è memoria applicata. Certo, ha i suoi toni accesi, le sue cose brutte, le sue ineleganze, i suoi eccessi.
Ma non ha i suoi eccessi e le sue schifezze anche la storia che si vuole ricordare? Anche la memoria, come le guerre, le rivoluzioni, i rivolgimenti sociali, non è un pranzo di gala, può sporcarsi le mani, può incattivirsi. I cittadini di Albano, i sindaci che negano raduni nazisti, le iniziative che bloccano revisionismo e negazionismo fanno questo. Fanno memoria. Ricordano il passato e applicano quella lezione al presente. Niente di più, niente di meno. Ed è memoria non meno utile e preziosa di quella che sta nei libri.
L’Unità 19.10.14