La crisi sociale semina sfiducia, talvolta disperazione, corrode il senso di appartenenza alla comunità, eppure centinaia di migliaia di donne, di uomini, di giovani continuano a offrire il loro impegno gratuito per aiutare chi ha bisogno. La scuola, la nostra principale risorsa per il futuro, è sfiancata dalle scarse risorse e da una trop- po lunga disattenzione, ma tantissimi insegnanti, in ogni angolo d’Italia, continuano a fare il loro dovere, a lavorare oltre l’orario contrattuale, promuovendo conoscenze e senso civico. L’illegalità e la criminalità occupano spazi inaccettabili del potere, dell’economia, del territorio, ma ci sono persone, associazioni, istituzioni che le combattono con coraggio, forti dei valori che sono alla base della nostra Carta costituzionale. E si potrebbe continuare elencando i conflitti aperti tra le paure diffuse e le speranze incomprimibili, tra le sopraffazioni e la voglia di combatterle: i lavoratori che lottano perché non venga dilapidato il patrimonio produttivo, gli imprenditori che sfidano i conti drammatici della crisi tenendo aperte le loro aziende e innovando, le donne che si battono non solo per difendere la propria soggettività ma perché la società e la cultura ne siano arricchite…
Viviamo in un Paese in bilico. Tra il declino e la possibile rinascita. Ma la lunga transizione, che ancora continua, reca purtroppo i segni del fallimento della seconda Repubblica e dell’impotenza della politica assai più che di queste dinamiche sociali.
Compito della sinistra è riaprire una battaglia visibile, non camuffata, sul tema dell’uguaglianza, sulla dignità della persona, sullo sviluppo sostenibile, su una nuova, più solida e moderna idea di pubblico. Perché non è vero che il mercato è capace di regolare da sé le risorse, come dimostra la drammatica crisi nella quale siamo sprofondati. L’ideologia liberista e antipolitica che domina ormai da un trentennio è una delle ragioni prime del declino, oltre che delle diseguaglianze crescenti, e la sinistra è stata tiepida nel contrastarla. Ha orientato il proprio riformismo per attenuarne le conseguenze sociali, anziché per costruire un’alternativa. E questo resta il tema di fondo del cambia- mento: immaginare che nuovi leader carismatici possano da soli surrogare il deficit politico accumulato, sarebbe un’ulteriore sottomissione all’ideologia che ha causato il disastro.
Il governo Letta è dentro la difficile transizione e rappresenta un’opportunità che, grazie al Capo dello Stato, è offerta al nostro Paese. Non è il governo che volevamo, anzi è il frutto anche dei nostri errori, ma ha il compito di costruire le condizioni politiche, economiche, istituzionali del cambiamento futuro. È il governo stesso un terreno di battaglia politica, a cui una sinistra nazionale ed europea non può sottrarsi. Non esistono tregue, né pacificazioni. In agenda c’è una ripresa da agganciare, una politica di equità da attuare, le riforme da realizzare per salvare la Costituzione e non certo per cambiarne i principi, un semestre di presidenza italiana dell’Ue da utilizzare per cambiare rotta nelle politiche economiche. La sfida parte dalle modifiche necessarie a questa legge di Stabilità. E ovviamente dal rispetto del principio di legalità: Berlusconi e i suoi tenteranno ancora di dare la spallata al governo. Useranno le tasse come ariete, ma il loro disegno è andare subito alle urne per contrappor- re la legittimazione elettorale a una sentenza definitiva di condanna. Useranno, in parallelo a Grillo, il presidente Napolitano come bersaglio per tentare di destabilizzare le istituzioni. Questo disegno va sconfitto. Non bisogna dargli sponde. Una sinistra intelligente deve continuare a seguire la strada più difficile: dare battaglia e avere a cuore le sorti del Paese, a cominciare dai più deboli.
La battaglia politica è una leva di r composizione sociale, è costruzione di una speranza condivisa. È stata l’antipolitica liberista a produrre invece conflitti sordi e irrisolti, frammentazione e individualismo. La sinistra della solidarietà e dell’uguaglianza deve ritrovare il futuro.
Non può arrendersi alla dittatura del presente. Il piccolo cabotaggio genera corruzione, distacco, perdita di credibilità. L’impresa del cambiamento a volte pare disperata, ma è il salto a cui siamo chiamati. Un mondo nuovo è cominciato. E dobbiamo entrare nel mondo nuovo con una carica di speranza, che è insieme ideale e concreta. Spes contra spem ripeteva un politico sognatore come Giorgio La Pira. E lo stesso Antonio Gramsci ci ha lasciato pagine memorabili sul nesso inscindibile tra il socialismo e la speranza della città futura. Quella del nostro tempo è anche una crisi dell’uomo e del suo destino. La politica non può ridursi ad amministrazione dell’esistente. Neppure ad una buona amministrazione. Per questo la cultura democratica avrà sempre più bisogno, da un lato di ricevere linfa dalle sue radici costituzionali, dall’altro di aprirsi al confronto con le nuove culture, nate dalle esperienze civiche, dai movimenti ambientalisti, dall’elaborazione delle donne. La cultura democratica è anche il terreno dell’impegno comune di credenti e non credenti: nuove frontiere si stanno aprendo, e forse non è lontano il giorno in cui i credenti riconosceranno anche in chi non crede il volto del loro Dio e i non credenti riconosceranno che la fede è per chi crede una fonte di conoscenza.
Questo è il mio saluto da direttore de l’Unità. Sono stati due anni e mezzo intensissimi, di grande impegno, di grande difficoltà, di grande bellezza. È stato per me un onore guidare un giornale così carico di storia, di valori, di professionalità, di passione civile. Sono riconoscente a chi mi ha dato questa opportunità. Ringrazio con affetto fraterno i dipendenti de l’Unità, i giornalisti e i collaboratori, senza i quali non sarebbe stato possibile nulla di ciò che abbiamo fatto. Vorrei nominarli tutti, uno a uno, perché tutti mi hanno dato qualcosa di importante che mai dimenticherò. Mi permetto di citare, per tutti, Pietro Spataro, che ha svolto funzioni vicarie di direzione, e che per spirito critico e passione politica ben rappresenta l’energia e la qualità della redazione. Quando ho assunto la direzione, c’era ancora il governo Berlusconi e la reputazione dell’Italia stava precipitando oltre la soglia della sicurezza nazionale. Abbiamo raccontato l’emergenza, i conflitti istituzionali, i progetti di cambiamento, gli scontri politici, gli errori drammatici anche della sinistra. Abbiamo raccontato la società, i suoi umori, la sfiducia crescente, andando però a cercare anche i segni di riscatto. Siamo andati controcorrente. Abbiamo polemizzato con la visione autoritaria di Grillo, con l’antipolitica di Berlusconi, con i filosofi della seconda Repubblica. Abbiamo difeso e sostenuto l’autonomia politica e culturale della sinistra, oggi aggredita su molti fronti. Ma l’impegno de l’Unità continua, anche perché queste ragioni si fanno ogni giorno più forti.
Il cambio nella compagine sociale che edita il giornale, con un nuovo socio di maggioranza, ha portato anche al cambio di direzione. A Luca Landò, vicedirettore dal 2001, di cui ho avuto modo di apprezzare professionalità e impegno, vanno i miei più sinceri auguri. Luca e l’editore mi hanno chiesto di continuare a lavorare a l’Unità in un ruolo diverso e ho accettato. Gli auguri insomma li rivolgo a tutti noi, a l’Unità e ai suoi appassionati lettori. La società italiana, la sinistra, la cultura democratica hanno bisogno de l’Unità che l’anno prossimo festeggerà i suoi primi 90 anni.
L’Unità 18.10.13