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“Economia, Nobel bifronte”, di Ronny Mazzocchi

L’economia si conferma l’unica disciplina in cui due persone possono dividere un premio Nobel dicendo cose opposte. È successo già nel 1974 con Friedrich Von Hayek, un ostinato antisocialista e liberista convinto. Il quale si ritrovò sul palco dell’Accademia di Svezia in compagnia di Gunnar Myrdal, che oltre ad essere un brillante economista era stato anche ministro del partito socialdemocratico svedese.

Stavolta ad essere premiati a Stoccolma da Re Gustavo per i loro studi sull’andamento del prezzo delle azioni saranno tre prestigiosi economisti americani: Roger Fama, Lars Peter Hansen e Robert Shiller.

Se nessuno ha da eccepire sulla qualità dei lavori dei tre premiati, qualche commento in più si può fare sulla curiosa accoppiata fra Fama e Schiller. Il primo è stato il pioniere di quella che è tradizionalmente conosciuta come la teoria dei mercati finanziari perfetti. Il secondo è invece noto soprattutto come uno dei suoi più famosi e brillanti critici. Nei suoi lavori più noti, Fama sostiene che i mercati finanziari generano sempre prezzi giusti, tenendo conto di tutte le informazioni disponibili. Il prezzo di ogni azione rispecchia sempre le migliori ipotesi di analisti, investitori e manager circa le prospettive di guadagno futuro. Detto in altri termini, i prezzi finanziari sono legati ai «fonda- mentali» dell’economia. Non riflettono mai un ingiustificato pessimismo o ottimismo. Non esiste, cioè, la possibilità di bolle speculative. Se i prezzi salgono al di sopra dei livelli giustificati dai fondamentali, entrano in gioco gli speculatori ben informati che vendono le azioni in loro possesso fino a che i prezzi non tornano al livello giusto. Viceversa, se i prezzi scendono al di sotto dei loro valori reali, gli speculatori intervengono comprando.

Il messaggio centrale della teoria dei mercati efficienti è che se il prezzo di una azione cambia, significa che qualcuno da qualche parte ha scoperto qualche nuova informazione prima ignota.

Tale ipotesi ha tuttavia un forte limite logico: se davvero i prezzi delle azioni in un dato momento riflettono tutte le informazioni disponibili sulle prospettive economiche e su tutti gli altri fattori che riguardano una determinata società, gli investitori non avranno alcun incentivo a scoprire informazioni ed elaborarle. Ma se nessuno scopre ed elabora informazioni, i prezzi delle azioni non rifletteranno quelle informazioni e il mercato non sarà efficiente. Un paradosso che sembra trovare conferma nella analisi empiriche condotte da Shiller.

Osservando il comportamento dei mercati finanziari, il neo premio Nobel arriva ad affermare che difficilmente tutti quei movimenti nei prezzi delle azioni possono essere spiega- ti con la teoria dei mercati efficienti. C’è qualcosa di diverso dai fondamentali a determinare quegli andamenti così erratici, qualcosa che ha a che fa- re con gli «spiriti animali» e la psicologia di massa. Quando il prezzo di una azione sale determinando il successo di alcuni investitori, questo attira l’attenzione dell’opinione pubblica, favorisce il passaparola, crea entusiasmo e fa aumentare l’aspettativa di ulteriori aumenti di prezzo in futuro. In un contesto di questo tipo, con i prezzi sottoposti al «giudizio convenzionale» e non ai fondamentali, gli speculatori – invece di ristabilire i prezzi corretti come sostiene Fama – avrebbero la tendenza ad alterare ancora di più i prezzi per ottenere facili guadagni. Le bolle speculative e le successive crisi finanziarie non sono così più una fantasia, ma una concreta possibilità.

Certo, condensare una intera carriera di due economisti ad una singola posizione è senza dubbio riduttivo. Negli ultimi 30 anni Fama è stato decisamente più ecclettico e Shiller ha scritto non pochi contributi sulla bon- tà dell’uso dei derivati. Quel che è certo è che, sui mercati finanziari e sul loro comportamento, le loro posizioni sono diverse e comunque legittime al punto da meritare entrambe il riconoscimento più ambito per uno studioso.

Quella che sembra una bizzarria dell’Accademia di Svezia ci consente di ricordare una cosa troppo spesso dimenticata: gli economisti non sono paragonabili ai dentisti. Su tantissime patologie del nostro sistema economico non solo non c’è condivisione sulle cure, ma nemmeno sulle diagnosi. E – a dispetto di quanto affermato dal comitato che assegna il Premio Nobel – non sono nemmeno dei buoni indovini se, 150 anni dopo il celebre «Calcul de Chances» di Jules Regnault, non sono ancora riusciti a trovare una spiegazione soddisfacente della dinamica dei prezzi delle azioni.

L’Unità 15.10.13