Secondo i regolamenti, Priebke dovrebbe essere sepolto a Roma, punto. Stando a una deliberazione comunale del 1979, infatti, nei cimiteri capitolini “hanno diritto di seppellimento le salme di persone morte nell’ambito territoriale del Comune, qualunque ne fosse stata in vita la residenza”. E tuttavia, credo siano in molti a provare un’istintiva adesione alla presa di posizione del sindaco e alla richiesta della comunità ebraica romana, che la sua tomba sia per lo meno fuori dalla città.
V’è una ragione profonda, per questo, un sentimento che tocca corde abbastanza antiche da poter far prendere in considerazione una possibile deroga al regolamento amministrativo senza sdegno, né scandalo, né timore di regressioni a pericolose passioni arcaiche.
Mi pare necessario sottolineare, in primo luogo, che in gioco non c’è qualche scandalosa tentazione di scempio del cadavere, né alcuno ha invocato di applicare una qualche legge del taglione per cui alla salma di Priebke dovrebbe essere riservato lo stesso destino che per sua responsabilità ebbero i 335 assassinati alle Fosse Ardeatine, abbandonati sotto le volte crollate della cava, “sotterrati, non sepolti”, come scrisse lo storico Alessandro Portelli nel bellissimo saggio di storia orale L’ordine è già stato eseguito. Cioè privati dell’identità e nascosti per cancellare traccia del delitto, come già decine e decine di migliaia di altre vittime scaricate in fosse comuni in tanti altri luoghi d’Europa, forma estrema di deumanizzazione dei corpi e sfregio al bisogno dei sopravvissuti di avere una salma da piangere e affidare alla terra come passaggio indispensabile nell’elaborazione del lutto (ai sopravvissuti fu invece inflitta la sofferenza aggiuntiva di dover disseppellire l’ammasso di cadaveri e lottare per avere la possibilità di riconoscerli). Niente di tutto questo: come l’ufficiale nazista ha avuto un regolare processo, con tutte le garanzie, così non gli si vuole negare il diritto a una sepoltura. In discussione è però il luogo ove essa si troverà. La questione è spinosa: l’Argentina, ad esempio, dove Priebke visse nascosto per anni, ha dichiarato di non volersene far carico. Se la querelle si protrarrà troppo a lungo, oltre ai risvolti grotteschi ne risulterebbe paradossalmente ingigantita la figura del carnefice.
Roma, luogo dell’eccidio, è uno spazio simbolico carico di memorie, che sono emotivamente sovraccariche – a causa della violenza inaudita dell’eccidio, della presenza di molti famigliari delle vittime delle Ardeatine e di altre violenze perpetrate dai nazisti, di una comunità ebraica che s’appresta a commemorare le deportazioni nei campi di sterminio – e ancora profondamente divise, come attestano tra l’altro le scritte filonaziste comparse all’indomani della morte di Priebke. “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti” scrisse Foscolo nei Sepolcri, ma le tombe, purtroppo, catalizzano passioni civili e politiche non solo positive. Fino all’ultima intervista nota, Priebke non ha mostrato pentimento, anzi, ha propalato addirittura tesi negazioniste: questo lo rende una sorta di polo magnetico da cui continua a promanare, come una forma di radioattività, il richiamo malefico di un’ideologia di morte mai rinnegata. Il pensiero delle code di nostalgici in visita al mausoleo di Mussolini a Predappio legittima la preoccupazione che la tomba possa diventare luogo di convegno per nostalgici del nazifascismo. Il rischio che questo accada c’è dovunque, ma può essere depotenziato se la sepoltura non si trova in un luogo particolarmente significativo, noto, frequentato o riconoscibile.
L’irriducibile fedeltà di Priebke al proprio passato lo pone in conflitto con i valori fondanti della società in cui viviamo, ma soprattutto rappresenta la negazione della più elementare forma di riconoscimento dovuta sia alla memoria delle vittime che ai sopravvissuti. Il riconoscimento del male compiuto e dell’umanità violata della vittima sta alla base di ogni forma autentica di pentimento, religioso o meno. Non a caso, esso è passaggio centrale nei percorsi di mediazione penale, in ogni esperienza di pubbliche commissioni per la verità e la riconciliazione. Il rispetto della dignità dell’uomo, di ogni uomo, è ciò che rende diversi da chi, come i nazisti, l’ha negata, distrutta e umiliata con parole e azioni, per cui: sia Priebke sepolto dignitosamente come spetta a ogni essere umano. Anche in Italia, se la madrepatria tedesca rifiutasse di accoglierne le spoglie. Tuttavia, non dimentichiamo quanto la separatezza sia connaturata al senso di sacralità; la stessa parola “tempio” deriva da temenos, “recinto”: uno spazio che dev’essere preservato dalla contaminazione e dalla profanazione. Per questo turba pensare che nel temenos dell’Urbe, dove riposano le vittime delle Fosse Ardeatine, “martiri” nel linguaggio della religione civile italiana, entri anche un carnefice fedele al proprio passato. Garantire alle vittime una qualche forma di separatezza, che la sepoltura non sia proprio a Roma, all’interno dello stesso spazio simbolico, è una forma di sensibilità. Un piccolo segno che non si può né si vuole cancellare lo sfregio del mancato riconoscimento – delle vittime e della verità storica – che s’aggiunge all’orrore della strage.
La Repubblica 14.10.13