Premio Nobel per la fisica 2013 al belga François Englert e allo scozzese Peter W. Higgs «per la scoperta teorica del meccanismo che contribuisce alla comprensione dell’origine della massa delle particelle subatomiche, recentemente confermata dalla scoperta della prevista particella fondamentale da parte degli esperimenti Atlas e Cms presso il Large Hadron Collider del Cern».
L’Accademia delle scienze di Stoccolma ha, dunque, premiato il «bosone di Higgs», il padre che gli ha dato il nome, Peter W. Higgs, e un altro, François Englert, degli altri quattro o cinque padri che gli hanno dato vita, sia pure per via teorica: (Robert Brout, Phil Anderson, Gerald S. Guralnik, Carl R. Hagen e Tom Kibble).
Ma la motivazione del Nobel fa anche esplicito riferimento (e, dunque, riconoscimento) ai gruppi di fisici sperimentali che il «bosone di Higgs» lo hanno rilevato per via empirica: i gruppi Atlas e Cms, il primo guidato dall’italiana Fabiola Gianotti e il secondo a lungo guidato dall’italiano Guido Tonelli.
L’esistenza di svariati padri testimonia di come la storia del meccanismo che ha portato a ipotizzare una particella, il «bosone di Higgs», capace di donare la massa a tutte le altre e, dunque, all’universo intero sia piuttosto complessa. Il meccanismo si chiama BEH, dai cognomi di Brout, Englert e Higgs. È stato ipotizzato all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, prevede l’esistenza nell’universo di un campo, chiamato campo di Higgs. Proprio come esiste un campo elettromagnetico o un campo gravitazionale. In questo campo le particelle si muovono come in un liquido viscoso, più le particelle lo sentono più diventano pesanti, ovvero acquistano massa. Alcune particelle lo sentono moltissimo e, di conseguenza, sono pesantissime. Altre, come i neutrini, lo sentono pochissimo e dunque sono leggerissime. Il meccanismo è stato ipotizzato in maniera indipendente dalla coppia Brout ed Englert (sulla base di ipotesi formulate da Anderson) e da Peter Higgs. Tuttavia Higgs è stato il primo a ipotizzare l’esistenza di bosone di gauge, ovvero di una particella che trasporta l’informazione del campo a cui è associato, proprio come fa il fotone per il campo elettromagnetico. Il bosone che media il «campo di Higgs» è noto come «bosone di Higgs». Tuttavia l’esistenza del bosone e del campo di Higgs prevede che il vuoto risponda a specifiche leggi di simmetria, che prevedono la rottura spontanea di simmetria. Per questo, come nota il fisico e divulgatore Gian Francesco Giudice, il premio Nobel di ieri è un piccolo monumento alla simmetria, alle sue leggi e al ruolo che esse giocano nelle fisica delle alte energie.
Ora, la teoria della rottura spontanea di simmetria e dell’esistenza di particelle di gauge, su cui si basa il meccanismo BEH è stata messa a punto, sempre all’inizio degli anni ’60 da Guralnik, Hagen e Kibble. Ecco perché il campo e il bosone di Higgs hanno sei o sette padri. Di cui solo due sono stati premiati.
Ma la storia non finisce mezzo secolo fa. Anzi prosegue nel tempo, disegnando due strade diverse. Una teorica. Il meccanismo funziona così bene, mette a posto tante cose nell’universo della fisica fondamentale che diventa la base del Modello Standard delle alte energie, che porta Stephen Weinberg, Sheldon Glashow e Abdus Salam a formulare, poco dopo, la cosiddetta teoria elettrodebole, che unifica due forze fondamentali della natura (l’elettromagnetismo e l’interazione debole) e prevede l’esistenza di altri bosoni intermedi (W+, We Z0), rilevati poi al Cern di Ginevra da Carlo Rubbia e dal suo gruppo.
Il meccanismo di Higgs o Brout, Englert, Higgs (BEH) o di Brout, Englert, Higgs, Anderson, Guralnik, Hagen, Kibble (BEHAGHK) regge per cinquant’anni il vaglio della teoria e, anzi, diventa la base fondamentale della fisica delle alte energie, secondo cui in natura esistono quattro forze fondamentali e due gruppi di particelle, gli adroni (a loro volta composti da quark) e i leptoni (tra cui vi sono l’elettrone e i neutrini). Intanto il secondo percorso intrapreso dal meccanismo di Higgs, attraverso la verifica sperimentale e la cattura del bosone di Higgs, resta vuoto per oltre mezzo secolo. La particella, piuttosto pesante, sfugge a ogni tentativo di intrappolarla. Cosicché per tutto questo tempo abbiamo una teoria solida (ma non completa), addirittura un Modello Standard, senza una decisiva prova sperimentale. Gli scienziati sanno che una situazione del genere non può durare a lungo, pena il discredito stesso della teoria. Per questo soprattutto per questo è stato costruito il Large Hadron Collider (LHC): per catturare, finalmente, il bosone di Higgs e validare con un fatto empirico il modello teorico. Come tutti sanno, ormai, l’impresa è riuscita a due gruppi, Atlas e Cms, dei sei che lavorano ad LHC. Il primo, Atlas, è guidato dall’italiana Fabiola Gianotti; il secondo, Cms, è stato a lungo guidato da un altro italiano, Guido Tonelli, e ora dall’americano Joe Incandela. I due gruppi hanno individuato una particella in un range di energia compreso tra 125,2 e 126,0 GeV e che ha tutte le caratteristiche che dovrebbe avere il bosone di Higgs. La grande maggioranza della comunità dei fisici delle alte energie ritiene che quella sia la particella di Higgs. Tutto questo è avvenuto esattamente un anno fa e la conferma è stata dato poco più di sei mesi fa.
I due percorsi, quello della teoria di successo e quello della verifica sperimentale, dopo mezzo secolo si sono incontrati. E, dunque, non c’era Nobel più atteso e meritato. Ovviamente quando si attribuisce un premio a un lavoro che non è individuale, ma il frutto di un’impresa cui hanno partecipato in molti, resta qualche interrogativo. Perché sono stati premiati solo Higgs ed Englert? Beninteso, i due lo meritano. Ma non lo meritano un po’ anche gli altri quattro o cinque teorici?
E poi gli sperimentali, meritano solo una citazione o forse avrebbero dovuto avere qualcosa di più? Va detto che spesso a Stoccolma i teorici e gli sperimentali coinvolti in una scoperta importante sono premiati separatamente. Spesso a qualche anno di distanza l’uno dall’altro. Dunque, dopo il riconoscimento c’è speranza che anche i leader dei due gruppi, pieni zeppi di italiani, che hanno catturato il bosone di Higgs al Cern ottengano il Nobel. Non resta che attendere.
L’Unità 09.10.13