C’è un battaglione di giovani perduti nei dati pubblicati ieri dall’Ocse: si tratta di oltre un milione e mezzo di ragazzi che ancora non hanno trent’anni e non hanno neppure le «competenze adeguate» per potersi muovere nel mondo del lavoro. Più di un milione — sono ragazzi tra i 16 e i 24 anni — non ha un titolo di studio sufficiente per poter lavorare, si legge nelle pagine del rapporto che ci condanna ancora all’ultimo posto, fanalino di coda dell’educazione per quanto riguarda la lettura/scrittura e penultimi nella matematica. La novità triste di questi dati — che invece segnano finalmente una parità di competenza tra uomini e donne almeno per quanto riguarda la lingua italiana, per la matematica non è ancora così — è che non è soltanto il cosiddetto analfabetismo di ritorno, cioè quello di chi per troppo tempo non si è più occupato della propria formazione, il problema principale degli italiani. Ma un vero e proprio analfabetismo: chi va a scuola — soprattutto al Nord — ha performances molto più simili a quelle europee, ma chi lascia è del tutto perduto.
I dati dicono che la scuola fallisce là dove l’abbandono è molto al di sopra della media europea, quando la scelta della scuola da frequentare è sbagliata, quando si fanno confronti con Paesi come la Gran Bretagna dove un universitario su due a 30 anni è laureato mentre in Italia il traguardo è riservato soltanto ad uno su cinque. Dove si perdono questi giovani, che diventano i Neet (Not in education, employment or training)? Non basta a consolarsi che nei decenni scorsi la situazione complessiva dell’educazione in Italia era anche peggiore (tre anni di scolarizzazione media negli Anni Settanta). Il confronto con il nostro passato non è adeguato: in Germania 8 tedeschi su 10 in età adulta hanno oggi un diploma di scuola superiore, in Italia neppure uno su due. Il ministro Carrozza ha annunciato che è ora di invertire la rotta per combattere questa emergenza, l’impressione è però che non basti stanziare fondi, che anche per quanto riguarda la scuola sia necessario un vero salto culturale:
IL Corriere della Sera 09.10.13
******
“Gli italiani non sanno contare né parlare”, di Alessia Camplone
Bocciatissima. In italiano e in matematica, le materie base della nostra istruzione. L’Italia colleziona un’altra maglia nera: è ultima tra tutti i paesi dell’Ocse, in una classifica che mette a confronto le 24 nazioni più industrializzate, per le “competenze alfabetiche” degli adulti. Si tratta delle capacità linguistiche ed espressive, che oggi sono fondamentali nella vita e nel lavoro. Ed è penultima in matematica. L’indagine apre però uno spiraglio: stiamo migliorando. Abbiamo ridotto, in base ai parametri comuni di ricerca, le distanze rispetto agli altri Paesi. La reazione del governo è che sono state già adottate «diverse misure» per recuperare terreno, come hanno scritto in una nota congiunta i ministri del Lavoro e dell’Istruzione Enrico Giovannini e Maria Chiara Carrozza, che però non nascondono la brutta figura e definiscono i dati dell’Ocse «allarmanti».
Lo studio Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), firmato in Italia dall’Isfol, è una fotografia aggiornata al 2011-2012 e riguarda tutta la popolazione dai 16 ai 65 anni. Gli adulti italiani si fermano nelle competenze alfabetiche a un punteggio medio di 250 in una scala che va da zero a 500. La media Ocse è di 273. Sono appena un po’ meglio di noi la Spagna e la Francia, rispettivamente penultima e terzultima. I paesi più virtuosi nelle due classifiche sono Giappone e Finlandia, ma tutto il Nord Europa è in “zona Champions”.
SENZA TITOLI
E in matematica? Ci batte in negativo solo la Spagna, che quindi si scambia con noi penultimo e ultimo posto.? Paghiamo il peso dei ritardi dei meno giovani: tra i 25 e i 64 anni, circa il 45% degli italiani non ha un diploma di secondaria superiore, contro un dato europeo del 25%. Se poi ci riferiamo a lauree e titoli post-diploma, è una questione che riguarda il 15% degli italiani contro il 27% degli europei. Negli abbandoni scolastici arriviamo a un elevatissimo 18%. Poi c’è l’allarme sui Neet, i giovani tra i 16 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e neanche cercano lavoro. Il loro punteggio è 242, quindi sotto la media nazionale. Anche questa ricerca sottolinea il ritardo del nostro meridione rispetto al Nord; in compenso le donne hanno colmato il divario con i maschi. «Conscio della gravità della situazione del capitale umano disponibile nel nostro Paese – scrivono Giovannini e Carrozza – il governo ha già adottato diverse misure orientate a potenziare il sistema formativo e a fronteggiare l’emergenza Neet».
LE MISURE ADOTTATE
Quali sono? Sono stati stanziati 560 milioni di euro per il triennio 2013-2015 tra decreto Lavoro e decreto Scuola. Una commissione di esperti identificherà nuovi interventi in funzione del piano “Garanzia giovani”, voluto dall’Europa e che partirà a gennaio per favorire l’occupazione. Oltre 300 milioni finanzieranno nel triennio iniziative nel Mezzogiorno tra cui forme di autoimpiego e autoimprenditorialità e borse di tirocinio formativo a favore dei Neet. C’è un programma di didattica integrativa contro l’abbandono scolastico. Un programma per l’orientamento degli studenti. Cento milioni aumenteranno ogni anno la dote del Fondo per le borse di studio degli universitari.
Il Messaggero 09.10.13
******
“Non sappiamo leggere né contare In coda alla classifica dei Paesi Ocse”, di Orsola Riva
Italiani ultimi in italiano e penultimi in matematica. Una bocciatura senza appello. È quanto risulta dall’ultima indagine Ocse sulle «capacità fondamentali» della popolazione adulta (dai 16 ai 65 anni) in 24 Paesi sviluppati. E non consola certo il fatto che, rispetto alle precedenti rilevazioni, il gap con gli altri Paesi si sia ridotto. Né che, come già per lo spread dei titoli di Stato, ce la battiamo con gli eterni rivali spagnoli (penultimi nelle competenze alfabetiche e ultimi in quelle scientifiche). Mentre i francesi sono terzultimi e quartultimi.
Nordici e mediterranei
La ricerca dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico parte dalla considerazione che la rivoluzione tecnologica ha prodotto trasformazioni tali nel mondo del lavoro da richiedere una serie di abilità e conoscenze nuove. La mappa delle competenze fondamentali tracciata dall’indagine è la seguente: in cima stanno Giappone e Finlandia, seguiti dalla maggioranza dei Paesi del Nord Europa. In fondo i tre grandi Paesi mediterranei dove più morde la disoccupazione (la Grecia non è inclusa nella classifica).
Non conforta l’insistenza dell’Ocse sull’importanza della cosiddetta formazione continua. Perché se è vero che il luogo di lavoro può compensare i deficit accumulati durante l’educazione scolastica, in Paesi con un alto tasso di disoccupazione ciò equivale a un circolo vizioso: chi non lavora non può migliorare le proprie competenze e con competenze scarse sei tagliato fuori dal mercato del lavoro.
Le cifre italiane
I dati della classifica, raccolti in Italia dall’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), parlano chiaro: in una scala che va da 0 a 500, il punteggio medio degli italiani nelle capacità linguistiche ed espressive (la cosiddetta «literacy») è pari a 250, contro una media Ocse di 273. Nelle competenze matematiche (la «numeracy») scendiamo a 247 (contro 269).
Uno su due senza diploma
Un dato appare particolarmente allarmante: quello degli italiani senza un diploma. Un adulto su due ne è sprovvisto contro il 27% della media Ocse (la Germania ha raggiunto l’obiettivo di Lisbona 2010: sotto il 15%). I diplomati sono il 34% e i laureati solo il 12% . E comunque un diplomato giapponese si destreggia meglio di un laureato italiano.
Nord e Sud, uomini e donne
Il divario fra Nord e Sud del Paese si conferma a tutti i livelli, ma si allarga per quelli di istruzione universitaria. Una buona notizia (finalmente) sul fronte del gap maschi e femmine. Le donne recuperano soprattutto sul versante delle competenze alfabetiche (con le giovanissime che battono i maschi anche in matematica).
Emergenza «Neet»
Ma il dato forse più drammatico è quello che riguarda i cosiddetti «Neet» (Not education, employment or training), un brutto acronimo per indicare i giovani fra i 16 e i 29 anni che non studiano né lavorano. Parliamo di oltre due milioni di persone: una vera e propria generazione perduta il cui destino si incrocia con quello dei ragazzi che abbandonano la scuola (700 mila l’anno). Il loro punteggio medio si colloca al di sotto della già poco edificante media nazionale.
In una nota congiunta il ministro del Lavoro Enrico Giovannini e quello dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza hanno ribadito il loro impegno proprio nei confronti di questi giovani: «Il governo ha già adottato diverse misure… In particolare con il decreto Lavoro dello scorso giugno e il decretoscuola approvato a settembre sono stati stanziati complessivamente oltre 560 milioni per il triennio 2013-2015». Ma molto ancora resta da fare.
Il Corriere della Sera 09.10.13